Una breve revisione dello scopo iniziale
Abbiamo visto nella terza strofe l’individuo con un livello di motivazione iniziale:
(3) Chiunque abbia un interesse intenso a (raggiungere), in qualche modo, semplicemente la felicità del samsara che ricorre in modo incontrollabile è noto come una persona dalla minima capacità spirituale.
I temi dell'affidarsi correttamente a un maestro spirituale e della preziosa rinascita umana sono comuni per l’addestramento di tutti e tre i tipi di persone: quelle di livello iniziale, intermedio e avanzato. L'argomento vero e proprio dello scopo iniziale include la morte e l'impermanenza, la sofferenza dei tre regni inferiori, il prendere rifugio e le pratiche di causa ed effetto karmici, in particolare il mantenere l’autodisciplina etica dell’astenersi dal commettere le dieci azioni distruttive.
Grazie al non commettere le dieci azioni distruttive possiamo evitare di rinascere in uno dei tre regni inferiori e assicurarci la rinascita come essere umani o come divinità. Possiamo raggiungere questo obiettivo con una preziosa rinascita umana come la nostra tuttavia, per quanto sia molto positivo il raggiungimento di questo obiettivo, non è comunque sufficiente.
Progredire nello scopo intermedio
In qualunque rinascita dell’esistenza samsarica incontrollata e ricorrente, pur possedendo molta ricchezza o una posizione elevata come quella di un imperatore mondiale o di una divinità, sperimenteremmo solo problemi e sofferenze. Non importa in quale condizione rinasciamo, vi sono solo problemi e sofferenze. Comprendiamo che tutti i tipi di felicità mondana sono problematici e hanno la natura della sofferenza, e voltiamo le spalle al faticare per questi obiettivi impegnandoci invece per la liberazione totale da ogni condizione di esistenza samsarica.
Questo stato di motivazione più avanzato è noto come scopo intermedio. Al livello iniziale ci si sforza per ottenere la felicità mondana nelle vite future ma ora, al livello intermedio, ci si allontana anche da questo desiderando di ottenere la liberazione da ogni sofferenza in qualsiasi stato di esistenza samsarica ricorrente e incontrollata perchè si comprende che non è altro che sofferenza.
La sofferenza della sofferenza
Nessuna certezza
Il primo punto rispetto alla sofferenza è che non esiste alcuna certezza nell'esistenza samsarica che ricorre in modo incontrollabile. Non importa quanto ricchi siamo, quanti beni abbiamo, o che posizione elevata occupiamo: sono cose che non durano. Non c'è certezza di averle e mantenerle, in qualsiasi momento possiamo perderle diventando indigenti o con una posizione umile.
Questo possiamo capirlo da soli, abbiamo visto come non ci siano certezze in questa vita. Possiamo vederlo, in questa vita, quando qualcuno che ricopriva una posizione elevata come funzionario governativo è caduto in disgrazia e gettato in prigione, ma poi è tornato alla ribalta e ricoperto nuovamente una posizione elevata nel governo.
Magari qualcuno a noi molto caro in passato a causa di uno scambio di parole dure è diventato poi un nostro nemico che detestiamo molto. Allo stesso modo, potremmo aver avuto un nemico, qualcuno che non sopportavamo che è poi diventato un caro amico. Tutti noi abbiamo sperimentato questa incertezza della posizione.
Nessuna soddisfazione nel samsara
Il punto successivo sulla sofferenza della sofferenza è che non c’è soddisfazione nell’esistenza samsarica: non importa quanta ricchezza abbiamo, anche se possedessimo tutta la ricchezza di un intero paese non ci basterebbe, non saremmo soddisfatti, desidereremo solo averne di più. Non c'è soddisfazione nell'esistenza samsarica.
Dover lasciare il proprio corpo ripetutamente
Un altro punto è che dobbiamo continuamente lasciare il nostro corpo. Da tempo senza inizio siamo nati e poi morti lasciando il nostro corpo per poi rinascere. Ripetutamente lasciamo il nostro corpo e ripetutamente rinasciamo, all'infinito. Se non mettiamo fine alla nostra esistenza samsarica incontrollabile e ricorrente, continuerà così in futuro.
La sofferenza della sofferenza sperimentata dalle divinità
Questo è vero anche se rinasciamo come divinità in uno dei regni divini, dove tutto è molto bello e piacevole e, ad esempio, il terreno è fatto di gemme preziose. Le divinità non si nutrono di cibo grossolano bensì del cibo dell’assorbimento concentrativo, ottenuto senza alcuno sforzo o lavoro.
La felicità aumenta sempre di più man mano che si ascende ai regni delle divinità superiori eppure anche qui si prova molta sofferenza al momento della morte. Sebbene la loro vita sia trascorsa con grande felicità mondana al momento della morte, ad esempio, cominciano ad accadere cose mai accadute prima: le divinità cominciano a puzzare, le loro ghirlande di fiori e i loro ornamenti cominciano a sbiadire e ad appassire e, con l'avvicinarsi di tutti questi segni che indicano che stanno per morire, sperimentano un'enorme sofferenza mentale. Gli esseri nei regni inferiori come gli inferni soffrono la maggior sofferenza fisica tuttavia, quando le divinità ricevono i segni della loro morte imminente, provano la sofferenza mentale più grande.
Se confrontiamo la sofferenza mentale alla morte di una persona proveniente da un paese molto povero con la quantità di sofferenza mentale di una persona molto ricca in un paese prospero, allora quella della seconda è molto maggiore. Per un mendicante che non ha assolutamente alcun bene ed è completamente povero, la sofferenza mentale al momento della morte è molto inferiore di quella di qualcuno molto ricco che sta morendo. Pertanto, la quantità di sofferenza mentale che proviamo nell’esistenza samsarica incontrollabile e ricorrente è direttamente proporzionale alla ricchezza materiale e prosperità che abbiamo.
La sofferenza della sofferenza sperimentata dagli esseri umani
Consideriamo poi la sofferenza degli esseri umani. In primo luogo, c’è la grande sofferenza della nascita; anche se non lo ricordiamo perché è successo quando eravamo molto piccoli, tuttavia il momento stesso della nascita comporta la sofferenza più grande che sperimentiamo.
Dovremmo anche considerare, ad esempio, la quantità di sofferenza che proviamo quando siamo rinchiusi nel grembo materno per nove mesi e dieci giorni. Possiamo capirlo considerando come non potremmo sopportare di rimanere chiusi in una piccola stanza senza finestre e senza porte solo per pochi giorni. Immaginiamo la sofferenza di essere così rinchiusi per nove mesi e dieci giorni!
Consideriamo la sofferenza della malattia che comprendiamo e vediamo non solo in noi ma anche negli altri, le persone negli ospedali che soffrono di malattie terribili e incidenti, i pazienti psichiatrici che soffrono di gravi afflizioni mentali e disturbi psicologici. C’è così tanta sofferenza legata all’essere malati. Non solo soffriamo di una malattia quando l'abbiamo, ma soffriamo anche per la preoccupazione di contrarne una quando non l’abbiamo.
Come esseri umani, c’è anche la sofferenza dell’invecchiare: giunge molto lentamente, non lo vediamo all'improvviso, ma è molto intensa e duratura. Se avessimo sedici anni e, all'improvviso, la mattina ci svegliassimo completamente invecchiati sarebbe incalcolabile la sofferenza che deriverebbe dal vederci come anziani; sarebbe come se avessimo una maschera.
Quando siamo malati o vecchi non possiamo più mangiari certi cibi, anche se ci piacciono molto; dobbiamo prendere medicine dal sapore terribile o cose del genere e in entrambi i casi c'è molta sofferenza coinvolta.
La sofferenza della nascita, dell'invecchiamento, della malattia e la sofferenza della rinascita in uno qualsiasi dei regni inferiori sono esempi di ciò che è noto come sofferenza della sofferenza, sofferenza del dolore. Queste sono sofferenze grossolane ed evidenti.
La sofferenza del cambiamento
La sofferenza del cambiamento è un tipo di sofferenza più sottile. Qualsiasi tipo di oggetto materiale piacevole che potremmo avere e considerare capace di portarci felicità ci procura, in realtà, una felicità che ha la natura della sofferenza. Per esempio, se camminiamo, dopo un po' il camminare si trasforma in sofferenza, e vorremmo smettere e sederci; inizialmente lo stare seduti ci dà una sensazione di felicità ma, in realtà, non è una felicità duratura ma di per sé problematica e ha la natura della sofferenza.
Lo stare seduti non è nella natura della felicità; l’apparente felicità che proviamo sedendoci è in realtà un esempio di sofferenza del cambiamento. Quello che è successo, infatti, è che abbiamo camminato, abbiamo sperimentato la sofferenza del camminare troppo, così quando ci sediamo, anche se sembra che sia fonte di felicità, in realtà solo diminuisce la sofferenza del camminare. La felicità dello stare seduti inizialmente supera la grande sofferenza del camminare, ma è solo per un breve periodo.
Ciò che sentiamo non è nella natura della felicità perché, se lo fosse, dovrebbe rimanere tale in ogni momento. Non è così, perché se stiamo troppo seduti inizia a farci male il fondoschiena, ci sentiamo a disagio e vogliamo rialzarci. Ciò dimostra chiaramente che lo stare seduti ha la natura della sofferenza. Non è felicità solo perché supera leggermente la sofferenza derivante dal camminare. Di per sé non è felicità, ma solo un altro tipo di sofferenza.
Un altro esempio riguarda il mangiare quando siamo molto affamati: mangiamo e questo elimina la sofferenza della fame tuttavia non dura, semplicemente supera l’evidente sofferenza manifesta della fame. Non dura, perché dopo un po' ci viene di nuovo fame.
Allo stesso modo, quando abbiamo freddo, vogliamo uscire al sole. Stiamo al sole e ancora una volta questo prevale sulla sofferenza manifesta del freddo. Tuttavia, la felicità che proviamo non è qualcosa che dura e, dopo essere stati un po' fuori al sole, sentiamo troppo caldo e iniziamo a preoccuparci che forse ci scotteremo. Quindi vogliamo tornare all'ombra, in qualche posto piacevole.
Tutti questi sono esempi della sofferenza del cambiamento. Ciò che proviamo sembra essere felicità, ma si trasforma in sofferenza. Pertanto non è affatto felicità, ma solo un'altra forma di sofferenza. Questa è conosciuta come la “sofferenza del cambiamento”.
La sofferenza onnipervasiva
Il successivo tipo di sofferenza è noto come “sofferenza onnipervasiva”. Un esempio sono i nostri aggregati contaminati, i nostri corpi ordinari per natura portano automaticamente sofferenza. Abbiamo un corpo contaminato, un corpo che si ammala, un corpo che viene ferito da diversi tipi di dolore e sofferenza solo per il semplice fatto che esiste. Questa è nota come “sofferenza onnipervasiva”.
Agli esseri arya, i nobili, la sofferenza onnipervasiva di avere un corpo contaminato appare dolorosa quanto avere una ciocca di capelli negli occhi e pertanto vogliono abbandonarla. Noi esseri ordinari siamo consapevoli solo della sofferenza della sofferenza grossolana, non ci rendiamo nemmeno conto di questa sofferenza onnipervasiva e ci sembra innocente, come avere un capello sul palmo della mano.
Il samsara, l’esistenza samsarica che ricorre in modo incontrollabile, è un esempio di sofferenza onnipervasiva. Nell'esistenza samsarica la nostra coscienza è sotto il potere di emozioni disturbanti e di impulsi karmici irresistibili; non ne abbiamo pertanto alcun controllo. Anche questo è un esempio di sofferenza onnipervasiva.
Come liberarsi dalla sofferenza
Qual è il risultato del pensare a tutta questa sofferenza? Il voler cercare un metodo per liberarci di questa sofferenza, che non è permanente o statica ma mutevole e impermanente, pertanto è detta essere un “fenomeno influenzato” ('dus-byas-kyi chos, fenomeno condizionato).
“Fenomeno influenzato” significa che deriva da cause. Quali sono le cause che provocano la sofferenza? Gli impulsi karmici incontrollati, il karma, ci spingono a commettere azioni distruttive compulsive. Cosa ha creato tali impulsi karmici? Le varie emozioni disturbanti. Da dove vengono queste? Dalle tre principali emozioni disturbanti: il desiderio bramoso o attaccamento, ostilità o rabbia e ignoranza o ingenuità. La radice o causa fondamentale è quest’ultima, l’ignoranza. Gli impulsi karmici incontrollati e le emozioni disturbanti sono ciò che è noto come la “seconda nobile verità”, le vere origini della sofferenza.
Se scomponiamo le due sillabe della parola tibetana che indica la seconda nobile verità – kun-'byung – che sto traducendo come vere origini della sofferenza, significa letteralmente “produttore di tutto”. “Tutto” si riferisce a tutta la sofferenza. La connotazione è che gli impulsi karmici incontrollati e le emozioni disturbanti sono ciò da cui derivano tutte le sofferenze, pertanto sono conosciuti come le vere origini della sofferenza o la nobile verità delle origini della sofferenza.
Esaminiamo come è possibile che l'ignoranza sia la radice di queste emozioni disturbanti e sofferenze. Prima di tutto, noi abbiamo lo stato mentale con cui pensiamo “io” o “me”. In realtà ci sono due tipi di “me” che appaiono. C'è un “io” che effettivamente esiste e un “io” che non esiste: c’è l’ “io” convenzionalmente esistente e l’ “io” da confutare che non esiste. Non esiste nel senso che non corrisponde a ciò che realmente esiste, ma tuttavia appare come se esistesse e coincidesse con esso. In realtà, però, questo falso “io” - un “io” auto-stabilito o intrinsecamente esistente - non esiste affatto. Eppure le nostre menti danno origine all’apparenza di un “io” che sembra essere auto-stabilito, e ci aggrappiamo alla sua esistenza nel modo impossibile in cui appare. L'ignoranza è l'emozione disturbante per cui non ci rendiamo conto che questa apparenza non corrisponde alla realtà; noi crediamo esattamente il contrario, crediamo che sia così.
In parole semplici, pensiamo in termini di un “io” auto-stabilito che in realtà non esiste. Poiché pensiamo in termini di tale “io”, pensiamo al “mio amico” come conseguenza del pensiero “io”. Sulla base del pensiero “mio amico” sviluppiamo desiderio bramoso o attaccamento per quella persona e, sulla base di questo attaccamento, sperimentiamo il sorgere di impulsi karmici incontrollati che ci spingono a commettere azioni karmiche incontrollate. Il potenziale karmico negativo accumulato da quegli impulsi e quelle azioni si traduce nella nostra esperienza di sofferenza.
Allo stesso modo, quando pensiamo in termini di un “io” veramente stabilito, ciò porta a pensare a qualcuno come “mio nemico”. Sviluppiamo quindi ostilità e rabbia verso questo nemico e, di conseguenza, commettiamo azioni distruttive che provocano sofferenza. La radice di tutto ciò è il nostro stato mentale con il quale ci aggrappiamo ad un “io” inesistente come se la sua esistenza fosse veramente stabilita e, a causa dell’ignoranza, non sappiamo che questo è falso. Crediamo che sia vero.
Quando indaghiamo il modo in cui la nostra mente concepisce il suo oggetto, questo “io” inesistente, scopriamo che l’oggetto a cui ci stiamo afferrando è, in effetti, qualcosa che non esiste. Quando ci rendiamo conto che l’oggetto di questa mente non esiste – che non esiste una cosa del genere – la comprensione di questa assenza totale è conosciuta come una “comprensione della vacuità” o di “mancanza del sè” o “assenza di identità”.
Questa mente che comprende la mancanza di una vera identità di un “io” si allontana o inverte l’atteggiamento con cui ci afferriamo a un “io” in apparenza veramente esistente. Allo stesso modo, ci permette di distoglierci dall’afferrarci a oggetti in apparenza realmente esistenti che appartengono a questo “io” come se fossero le “mie cose”. La mente che si afferra alle cose come se avessero un'esistenza autostabilita e la mente che realizza che tali cose non esistono affatto sono completamente opposte; l'una nega l'altra.
La consapevolezza discriminante
Questa mente che comprende la non esistenza di tali oggetti impossibili è conosciuta come la “consapevolezza discriminante (shes-rab, saggezza) che realizza la vacuità”. Quando una mente ha una pura cognizione non concettuale di questa vacuità è detta “vera mente-sentiero”, è la nobile verità del sentiero. La continua meditazione con questa vera mente-sentiero alla fine libererà il continuum mentale da tutti i potenziali karmici e dalle emozioni disturbanti.
Quando tutti questi sono stati rimossi, l’assenza di potenziali karmici e di emozioni disturbanti è conosciuta come “vero arresto”, la nobile verità della cessazione. Proviene da una causa che è la vera mente-sentiero, la nobile verità del sentiero. Questi due sono causa ed effetto: l'uno è la causa dell'altro, che è il suo risultato.
Le quattro nobili verità
Le quattro nobili verità possono essere divise in due: la coppia di cui abbiamo parlato è nota come “il lato purificato o purificante delle nobili verità”, invece le prime due nobili verità sono conosciute come il “lato afflitto o che affligge delle nobili verità”. Le prime due nobili verità sono le vere sofferenze e la vera origine di tutte le sofferenze; la vera origine di tutte le sofferenze è ciò che determina le prime, le vere sofferenze. È stato affermato dagli stessi Buddha che tutti i fenomeni provengono da queste cause, le due coppie delle nobili verità.
I tre addestramenti superiori
Nei tre tipi di addestramento superiore, la consapevolezza discriminante che realizza la vacuità costituisce ciò che è noto come “addestramento superiore alla consapevolezza discriminante”. Ciò che ne è la causa e che deve precederlo è l’addestramento superiore alla concentrazione. La radice o base da cui sorgono questi due è l’addestramento superiore all'autodisciplina etica. Pertanto, è molto basilare, fondamentale e importante mantenere l’autodisciplina etica dell’astenersi dal commettere le dieci azioni distruttive, perché ciò funge da base per gli altri addestramenti superiori. Sono necessari come un campo è necessario per coltivare il raccolto.
Le pratiche contenute nei tre addestramenti superiori sono i contenuti dei tre addestramenti superiori. Le scritture che parlano di questo argomento dei tre addestramenti superiori sono incluse nei Tre canestri, Tripitaka.
- L'argomento dell'autodisciplina etica superiore si trova nel Canestro del Vinaya riguardante le regole della disciplina monastica.
- L'argomento dell'addestramento alla concentrazione superiore è trattato nel Canestro dei Sutra.
- Il tema dell'addestramento alla consapevolezza discriminante superiore si trova nei testi del Canestro dell’Abhidharma.
I tre addestramenti superiori sono l'argomento del Tripitaka, e i testi in questi Tre canestri li presentano e li spiegano.
La durata degli insegnamenti del Buddha
Si profetizza che la dottrina del Buddha durerà per 5.000 anni che sono divisi in dieci periodi di 500 anni:
- durante il primo di questi periodi di 500 anni ci sono moltissimi arhat,
- durante il secondo, sono moltissimi coloro che raggiungono lo stato di chi non ritorna,
- durante il terzo periodo di 500 anni, ci sono molti che raggiungono lo stato di coloro che sono entrati nella corrente.
Tutti questi sono esseri arya o nobili.
Nella prossima serie di tre periodi di 500 anni:
- nel quarto ci sono soprattutto coloro che praticano e mantengono l’addestramento superiore alla consapevolezza discriminante,
- nel quinto c'è chi mantiene principalmente l’addestramento superiore nella concentrazione,
- e nell'ultimo periodo di questa serie, c'è chi mantiene principalmente l’addestramento superiore nell'autodisciplina etica.
Questi periodi di tempo sono chiamati ‘capitoli di tempo’, come i capitoli di un libro quale Impegnarsi nella condotta del bodhisattva. I primi tre periodi di 500 anni sono detti capitoli risultanti – i capitoli del risultato o dei frutti delle pratiche. I secondi tre sono conosciuti come capitoli di pratica, durante i quali prevale la pratica di ciascuno degli addestramenti superiori, uno dopo l'altro, a partire dalla consapevolezza discriminante superiore. Attualmente siamo nel terzo di questi capitoli, il periodo in cui predomina l’addestramento superiore all'autodisciplina etica. Trecento anni o più di questo periodo di 500 anni sono già trascorsi e restano circa altri 200 anni.
Successivamente verranno i tre capitoli di 500 anni di testi scritturali. In ognuno predominerà il testo di uno dei Tre canestri:
- canestro dell’Abhidharma,
- canestro del Sutra
- canestro del Vinaya.
Durante questi periodi, non ci sarà nessuno con grandi intuizioni della pratica o realizzazione dei propri risultati. Le persone principalmente memorizzeranno e reciteranno questi testi.
Ci sono dieci periodi di 500 anni in totale e ne abbiamo già presentati nove. L'ultimo sarà:
- il periodo di 500 anni che è solo apparente, il Buddhismo sarà solo apparente: ci saranno persone ordinate solo di nome ovvero indosseranno delle vesti monastiche e basta, non manterranno i voti. Quello sarà l'ultimo periodo.
Non è ancora arrivato il momento in cui gli insegnamenti svaniranno completamente e mancano circa 2.200 anni prima che ciò avvenga. Pertanto, dobbiamo impegnarci adesso per ottenere la realizzazione delle quattro nobili verità e, soprattutto, la realizzazione della vacuità. Se come dice la strofe successiva ci distogliamo da tutti i piaceri e la felicità mondani e otteniamo la realizzazione della vacuità, saremo in grado di recidere la radice dell'esistenza samsarica che ricorre in modo incontrollabile.
La persona di scopo spirituale intermedio
Riassumendo la motivazione dello scopo intermedio, Atisha afferma:
(4) Chiunque [abbia] la natura di voltare le spalle ai piaceri dell’esistenza compulsiva e di respingere gli impulsi negativi del karma, interessandosi intensamente soltanto al suo stato di pace, è noto come una persona dalla capacità spirituale intermedia.
La frase chiunque abbia la natura di voltare le spalle ai piaceri dell'esistenza compulsiva e di respingere gli impulsi negativi del karma si riferisce a qualcuno che si impegna in un livello intermedio e si è allontanato dalle azioni distruttive, mantenendo l’addestramento superiore nell’autodisciplina etica e poi proseguendo con gli altri due addestramenti superiori. La pratica dei tre addestramenti serve per distogliersi dalle emozioni disturbanti che ci inducono a commettere azioni distruttive.
Quando Atisha scrive respingere gli impulsi negativi del karma, non dovremmo pensare semplicemente agli impulsi karmici distruttivi che ci spingono a commettere le dieci azioni distruttive: sono incluse anche le emozioni disturbanti che le causano.
Interessandosi intensamente soltanto al suo stato di pace si riferisce al fatto che, facendo affidamento su tali metodi, tali persone sono in grado di ottenere da sole la liberazione. Una persona del genere è nota come una persona dalla capacità spirituale intermedia.
Se effettivamente meditiamo in questo modo e ci sforziamo solo per il nostro bene, otteniamo ciò che è noto come il “tipo più basso di liberazione”, cioè siamo in grado di liberare solo noi stessi e non tutti gli altri come potremmo fare con il raggiungimento di uno stato di illuminazione.
Il sentiero di pratica della persona di scopo intermedio è considerato un sentiero comune. In altre parole, non dovremmo adottare l'aspetto di questo livello di motivazione che ha come obiettivo finale la liberazione per noi stessi, ma dovremmo piuttosto esercitarci a sviluppare quegli aspetti del livello di motivazione intermedio che sono condivisi con il livello avanzato: il distogliersi da preoccupazioni, piaceri e felicità mondani e dall’esistenza samsarica ricorrente in modo incontrollabile.
La rinuncia, la determinazione ad essere liberi
Esistono due tipi di rinuncia che è la determinazione ad essere liberi:
- quella con cui ci allontaniamo dal completo coinvolgimento in questa vita e ci sforziamo con fervore per questo,
- quella con cui ci allontaniamo dal completo coinvolgimento nelle vite future e ci sforziamo con fervore per questo.
Se ci distogliamo dal coinvolgimento completo solo in questa vita possiamo evitare di cadere in uno dei tre stati inferiori ma, se non sviluppiamo il secondo tipo di determinazione ad essere liberi con la quale ci allontaniamo anche dal coinvolgimento completo nelle vite future, non saremo in grado di distoglierci completamente da tutta l'esistenza samsarica che ricorre in modo incontrollabile e dal desiderio di rinascere come essere umani o divinità. Non saremo in grado di ottenere la liberazione.
Possiamo realizzare lo stato di liberazione dall’esistenza samsarica ricorrente e incontrollabile sulla base della nostra preziosa rinascita umana. Tuttavia non è sufficiente liberarsi delle sofferenze solo per noi stessi. Con questa preziosa rinascita umana non dovremmo semplicemente sforzarci per liberare solo noi ma anche tutti gli altri: come noi, anche gli altri soffrono; tutti hanno gli stessi tipi di sofferenze.
Ma se non siamo consapevoli di tutte le nostre sofferenze e non abbiamo la determinazione di liberarcene, non saremo in grado di diventare consapevoli della sofferenza degli altri con la stessa determinazione affinché anche loro ne siano liberi come noi. È conosciuta come “compassione” la mente con cui ci concentriamo sulla sofferenza degli altri con il desiderio che ne siano liberi, come desideriamo per noi stessi