L’esistenza veramente stabilita nelle scuole filosofiche

Revisione 

Nella nostra discussione sulla vacuità di sé nel contesto delle affermazioni ghelug abbiamo visto che possiamo parlare di modi impossibili di esistere in relazione alle persone e a tutti i fenomeni. In primo luogo, ci concentriamo sulla comprensione che esiste un sé che non deve essere confutato e che esiste nel senso che funziona e sperimenta i risultati delle sue azioni. Tuttavia, non esiste nel modo di un’“anima” grossolana impossibile come affermato dalle scuole filosofiche indiane non buddhiste, vale a dire, come qualcosa che non è influenzato o statico - non cambia mai - come un monolite senza parti che esiste indipendentemente da un corpo e una mente quando liberato. Una cosa del genere non esiste. Quando crediamo di esistere come un’“anima” o un “io” grossolano e impossibile, le emozioni disturbanti che sorgono in base a tale convinzione sono note come “emozioni disturbanti basate sulla dottrina”. 

Tuttavia, abbiamo anche un malinteso più profondo e sottile; ci sembra che esistiamo come un “io” autosufficiente e conoscibile e, quando crediamo che ciò corrisponda alla realtà, allora le emozioni disturbanti che sorgono in base a questa convinzione sono chiamate “emozioni disturbanti innate”. Abbiamo anche visto che, se possiamo superare questi due tipi di convinzione, di malintesi e realizzare che “non esiste una cosa del genere” - o la vacuità di tale anima in relazione a una persona - con quella sola comprensione e con la giusta motivazione di rinuncia, possiamo ottenere la liberazione secondo tutte le scuole eccetto Vaibhashika e Prasangika-ghelug. Quest’ultima afferma che questa comprensione non è sufficiente per ottenere la liberazione, mentre Vaibhashika afferma che otteniamo la liberazione semplicemente con la realizzazione della vacuità dell’“anima” grossolana impossibile delle persone.  

Se vogliamo raggiungere l’illuminazione secondo le scuole Mahayana, allora dobbiamo comprendere la vacuità di tutti i fenomeni, comprese le persone – un’assenza di un modo di esistenza falso molto più sottile. Secondo Prasangika-ghelug, abbiamo bisogno della stessa comprensione anche per raggiungere la liberazione poiché abbiamo ancora emozioni disturbanti sottili basate su questa inconsapevolezza della vacuità di tutti i fenomeni, anche quando abbiamo compreso la vacuità di ciò che gli altri sistemi chiamano “anime impossibili grossolane e sottili delle persone”. Secondo le altre scuole Mahayana abbiamo ancora ciò che è designato come emozione disturbante “non disturbante ma etichettata come disturbante” una volta che abbiamo raggiunto la liberazione. Fondamentalmente, stanno parlando delle stesse emozioni disturbanti ma le chiamano solo con nomi diversi. 

Come abbiamo visto, alcune delle differenze più importanti tra le varie scuole è il diverso uso della terminologia e il diverso modo di definirla. Ci sono molti termini, in particolare quelli che incontreremo nel nostro studio della vacuità di sé e d’altro, che sono definiti in modo diverso dai diversi sistemi filosofici indiani e dalle diverse interpretazioni di questi delle tradizioni tibetane. Ci confondiamo se non conosciamo le definizioni nel contesto di una particolare scuola come definite in una particolare tradizione tibetana, specialmente se introduciamo una definizione da un’altra scuola filosofica o da un’altra tradizione tibetana.

L’esistenza veramente stabilita in Vaibhashika e Sautrantika 

Uno dei termini più confusi è “vera esistenza” (bden-par grub-pa, sanscr. satyasiddha). Innanzitutto, dobbiamo capire che, in questa intera discussione sui modi impossibili di esistere, non stiamo realmente parlando del modo di esistere stesso, ma di ciò che stabilisce che qualcosa esiste, ciò che prova che esiste, che dimostra che esiste. Questo è principalmente il modo ghelug di comprendere la parola “stabilire” - drubpa (grub-pa, sanscr. siddha). D’altra parte, molti sistemi non ghelug intendono drugpa in alcuni contesti come “stabilire” nel senso di creare l’esistenza di qualcosa. Ci atteniamo alla presentazione ghelug.

La vera esistenza, così come è definita da Vaibhashika, Sautrantika e Cittamatra, è letteralmente “esistenza veramente stabilita”. Esiste davvero, è validamente stabilita come vera. Dal punto di vista madhyamaka, l’esistenza veramente stabilita non esiste affatto. Immaginiamo che esista veramente ma non è così, in realtà è falsa. 

Per Vaibhashika ciò che stabilisce veramente che qualcosa esiste è che la sua esistenza è stabilita dal suo stesso lato. Vaibhashika considera questa modalità di esistenza come equivalente all’esistenza sostanzialmente stabilita (rdzas-su grub-pa), che è l’esistenza stabilita da qualcosa che ha la capacità di svolgere una funzione. Per Vaibhashika, l’esistenza di fenomeni statici e non statici è veramente stabilita in questo senso perché, anche se i fenomeni statici come lo spazio non fanno nulla, tuttavia, funzionano come un oggetto della loro cognizione.

I libri di testo monastici ghelug presentano due diverse affermazioni di esistenza veramente stabilita secondo Sautrantika: 

  • I libri di testo di Jetsunpa accettano la definizione vaibhashika di esistenza veramente stabilita come equivalente a esistenza sostanzialmente stabilita ma rifiutano il suo significato di esistenza stabilita dal lato di qualcosa. Sulla base di ciò, solo i fenomeni non statici hanno un’esistenza veramente stabilita perché solo loro producono effettivamente un risultato. Sono fenomeni oggettivi (rang-mtshan) ed esistono prima di qualsiasi cognizione di essi. Fenomeni statici come lo spazio, le categorie e persino la mancanza di un’impossibile “anima” di una persona non hanno un’esistenza veramente stabilita secondo questa definizione. Sono fenomeni metafisici (spyi-mtshan) la cui esistenza può essere stabilita solo come oggetti di riferimento dei concetti con cui sono concettualmente etichettati o come oggetti di riferimento delle parole con cui sono concettualmente designati. 
  • I libri di testo del Pancen accettano la definizione vaibhashika di esistenza veramente stabilita come esistenza stabilita dal lato di qualcosa, ma rifiutano la sua equivalenza a esistenza sostanzialmente stabilita. Sulla base di ciò, sia i fenomeni non statici che quelli statici hanno un’esistenza veramente stabilita.

L’esistenza veramente stabilita in Cittamatra 

Ora entriamo nei sistemi mahayana. Siate pazienti, vi sto solo dando i punti principali di questi sistemi secondo le presentazioni ghelug. Ovviamente, potremmo passare molti anni a studiare questi sistemi e i modi in cui le diverse tradizioni tibetane e i diversi maestri affermano i dettagli. Non sono semplici, ma diamo un’occhiata solo ai punti principali, così da averne un piccolo assaggio.  

Cittamatra-ghelug definisce l’esistenza veramente stabilita in modo diverso da Sautrantika e Vaibhashika. I fenomeni che hanno un’esistenza veramente stabilita sono solo quelli che sono noti come “fenomeni ultimi” (don-dam-pa). Un fenomeno ultimo è quello che appare all’assorbimento totale di un arya. 

L’assorbimento totale di un arya non è solo focalizzato sulla vacuità; ha due fasi alternate: una mente del sentiero ininterrotto (bar-chad-med lam) e una mente del sentiero liberatao (rnam-grol lam). Con una mente del sentiero ininterrotto, un arya si concentra sull’inconsapevolezza e sulle emozioni disturbanti associate a uno dei 16 aspetti delle quattro nobili verità e applica la comprensione della vacuità ad essi. Con un sentiero liberato, la mente dell’arya è liberata dalla porzione di oscurazione emotiva (nyon-sgrib) associata a quell’inconsapevolezza. Quindi, sia i fenomeni non statici che le vacuità sono fenomeni ultimi perché entrambi appaiono all’assorbimento totale di un arya e quindi entrambi hanno un’esistenza veramente stabilita.  

Il Cittamatra afferma due livelli di vacuità di tutti i fenomeni; quella  più grossolana è che, nella cognizione sensoriale, l’oggetto e i modi di esserne consapevoli, quindi la coscienza sensoriale e tutti i fattori mentali che l’accompagnano - entrambi hanno un’esistenza veramente stabilita - sono privi dal provenire da diverse fonti natali (rdzas). Entrambi provengono dalla stessa fonte natale, una tendenza o seme del karma (sa-bon). 

Tutti i sistemi di principi buddhisti eccetto il Vaibhashika affermano che, quando siamo consapevoli di qualcosa, in realtà ciò che emerge nella nostra cognizione è un ologramma mentale, letteralmente un aspetto mentale (rnam-pa) di un oggetto, e che questo ologramma mentale è prodotto dalla mente. Anche da un punto di vista occidentale dovremmo accettarlo: quando vediamo qualcosa, i fotoni entrano nell’occhio, c’è l’attivazione dei neuroni e così via, e ciò che effettivamente conosciamo è come un ologramma mentale. 

Sautrantika afferma che la fonte natale della parte dell’oggetto dell’ologramma è un oggetto esterno che esiste oggettivamente prima della sua cognizione e ciascuna delle componenti cognitive deriva dalla sua tendenza individuale. Cittamatra confuta che tali oggetti cognitivi possano essere stabiliti come esistenti esternamente prima della loro cognizione. Come potresti provarlo senza la loro cognizione o un dispositivo che li registri o li misuri? L’unico modo per stabilire l’esistenza di qualsiasi oggetto che è conosciuto con i nostri sensi è in relazione alla mente che lo conosce. Quindi, Cittamatra è la scuola Solo-mente.  

Quando lavoro con i miei studenti su questo li sfido a dimostrare, ad esempio, che siamo tutti seduti nella stessa stanza. In realtà non possiamo dimostrarlo. Se ognuno di noi scattasse una foto di questa stanza con una Polaroid, avremmo - se ci sono 50 persone qui - 50 foto diverse. Non è la stessa stanza. 

Questa vacuità grossolana, quindi, si riferisce solo ai fenomeni non statici, che nel sistema Cittamatra sono chiamati “fenomeni dipendenti” (gzhan-dbang), a volte tradotti come “fenomeni potenziati da altri”. Sorgono in modo dipendente o per il potere di cause e condizioni. Includono forme di fenomeni fisici, modi di essere consapevoli di qualcosa e fenomeni di imputazione non statici come età e persone. Sono tutti fenomeni ultimi e quindi hanno un’esistenza veramente stabilita. 

Definizione dei segni caratteristici 

Per i cittamatra, ciò che stabilisce che qualcosa esiste veramente è che appare alla mente di un arya in totale assorbimento, non concettualmente. Questi sono fenomeni ultimi che hanno un segno caratteristico definitorio (mtshan-nyid) dalla loro parte che stabilisce, per suo stesso potere, la loro esistenza come fenomeni individuali validamente conoscibili indipendentemente dal fatto che siano gli oggetti di riferimento dei concetti con cui sono concettualmente etichettati e dal fatto che sono gli oggetti di riferimento dei nomi o delle parole con cui sono concettualmente designati. Questo segno caratteristico definitorio stabilisce che questi fenomeni esistono veramente e che non sono solo fenomeni totalmente concettuali (kun-brtags-pa), come categorie statiche. I fenomeni totalmente concettuali, come le categorie, sono privi di tale segno caratteristico definitorio e possono essere stabiliti come esistenti solo nel contesto del loro essere imputati nella cognizione concettuale. Esistenza veramente stabilita, quindi, significa esistenza veramente non imputata. 

Dobbiamo stare attenti qui, tuttavia, poiché ci sono anche fenomeni non statici che sono fenomeni di imputazione, come le persone e l’età. Hanno un’esistenza veramente stabilita e non imputata poiché possono essere validamente conosciuti sia concettualmente che non concettualmente. I fenomeni totalmente concettuali sono fenomeni statici, come le categorie e lo spazio, che possono essere conosciuti solo concettualmente.

Sono molti termini tecnici, non è facile. Proverò a renderlo un po’ più comprensibile: pensiamo a un elefante attraverso la categoria statica totalmente concettuale “elefante”. La categoria “elefante” è immaginaria, ma non concepitela come una cosa trovabile da qualche parte dentro la nostra immaginazione. Esiste solo nel contesto dell’essere etichettata mentalmente in una cognizione concettuale su un ologramma mentale che rappresenta un elefante per noi quando ne immaginiamo uno. La categoria e la rappresentazione concettuale sono solo proiettate dalla mente. 

La rappresentazione concettuale di un elefante, tuttavia, essendo una forma sottile di fenomeno fisico, ha una caratteristica distintiva dalla sua parte che lo stabilisce come un oggetto individuale validamente conoscibile, ma quella caratteristica distintiva non ha il potere di stabilire questo ologramma mentale come un elefante. L’ologramma mentale è privo di quel modo impossibile di esistere. Questo è l’altro tipo di vacuità, la vacuità sottile. L’ologramma mentale è privo di essere una piattaforma su cui un’etichetta mentale, un concetto o un nome possono essere apposti e possono quindi stabilire l’ologramma mentale come effettivamente ciò a cui si riferiscono l’etichetta, il concetto o il nome.  

Mettiamo a confronto questo con il vedere un elefante. Se vediamo un elefante, non possiamo stabilire che esiste da qualche parte là fuori prima di vederlo, o prima che qualcuno lo veda, o prima che una videocamera lo registri; non c’è modo di stabilirlo in questo modo, quindi non ha un’esistenza stabilita esternamente. Tuttavia, quando lo vediamo, sebbene la fonte di quella cognizione dell’elefante, del nostro vedere quell’elefante, provenga da un seme di karma per vederlo, ciò che vediamo non è solo totalmente immaginario. Non stiamo solo proiettando un elefante immaginario ma lo stiamo effettivamente vedendo. È veramente un elefante e c’è una caratteristica definibile dal lato di questo oggetto, questo ologramma mentale, che lo stabilisce, per suo stesso potere, non solo come un oggetto validamente conoscibile ma anche come un elefante individuale. È la stessa cosa con la vacuità di questo elefante, l’assenza dell’apparenza proveniente da una fonte natale diversa da quella della sua cognizione. Quella vacuità di esistenza esterna ha anche una caratteristica individuale che la definisce dalla sua parte che stabilisce veramente la sua esistenza sia come oggetto validamente conoscibile, sia come vacuità. Un arya riconosce non concettualmente quella vacuità. È chiamata un “fenomeno completamente stabilito” (yongs-su grub-pa). È un fatto statico; non fa nulla. 

In breve, in questo sistema sia i fenomeni dipendenti che i fenomeni completamente stabiliti sono realmente esistenti. Non sono immaginari; non sono come la categoria statica “elefante” implicata nell’immaginare un elefante. L’esistenza dei fenomeni dipendenti e dei fenomeni completamente stabiliti è stabilita in modo non imputato e unicamente dal potere dei loro segni caratteristici di definizione individuali dalla loro parte. 

Fenomeni dipendenti, totalmente concettuali e completamente stabiliti 

Tuttavia, una vacuità non è lo stesso tipo di fenomeno ultimo di un fenomeno dipendente perché, sebbene come un fenomeno dipendente abbia un segno caratteristico definitorio dalla sua parte che per suo stesso potere stabilisce la sua esistenza, non ha la stessa natura essenziale (ngo-bo) di un fenomeno dipendente. L’attenzione di un arya sui fenomeni dipendenti non è ciò che porta liberazione o illuminazione, è solo l’attenzione di un arya sulla vacuità che lo fa.

Inoltre, i fenomeni dipendenti non hanno il tipo di esistenza che hanno i fenomeni totalmente concettuali. Questo perché i fenomeni dipendenti hanno un segno caratteristico definitorio dalla loro parte che stabilisce la loro esistenza. D’altro canto, i fenomeni totalmente concettuali come le categorie concettuali non hanno tale segno caratteristico definitorio. La loro esistenza può essere stabilita solo dal loro verificarsi in cognizioni concettuali, dove sono etichettati mentalmente su rappresentazioni concettuali di elementi che appartengono a queste categorie. 

In sintesi, da questi punti di vista, i fenomeni dipendenti sono privi di esistenza nel modo in cui esistono i fenomeni totalmente concettuali, e i fenomeni completamente stabiliti sono privi di esistenza nel modo in cui esistono i fenomeni dipendenti. Lo sottolineo, sebbene sia piuttosto difficile da capire sentendolo solo una volta in questo modo, perché questa struttura appare di nuovo in alcune delle presentazioni della vacuità d’altro. 

Sto seguendo il metodo tradizionale di spiegazione, ovvero che tutte le sessioni finora sono state relativamente facili da capire. Ho lasciato tutto il materiale veramente difficile per quest’ultima sessione, quindi siate pazienti. Ogni volta che i lama tibetani spiegano, in particolare argomenti come la vacuità, anche con Sua Santità il Dalai Lama, l’ultima sessione è quella più difficile da seguire e capire. Sua Santità affronta il materiale difficile più velocemente perché, anche se lo affrontasse lentamente, la maggior parte delle persone non lo capirebbe comunque. E per le persone che potrebbero capirlo, come gli insegnanti anziani che sono presenti agli insegnamenti, questo li aiuta in modo che in seguito possano spiegare il materiale molto più lentamente agli altri studenti. Questo è il metodo che sto seguendo. 

L’esistenza veramente stabilita per Madhyamaka Svatantrika 

Ora diamo un’occhiata alle affermazioni svatantrika sull’esistenza veramente stabilita, sempre secondo l’interpretazione ghelug. Svatantrika è una suddivisione di Madhyamaka. 

Finora, abbiamo visto che Vaibhashika definisce l’esistenza veramente stabilita come esistenza stabilita dal lato di qualcosa e la equipara all’esistenza stabilita dalla capacità di qualcosa di produrre un effetto. Secondo Vaibhashika, tutti i fenomeni, sia non statici che statici, hanno un’esistenza veramente stabilita. I libri di testo di Jetsunpa affermano che Sautrantika accetta solo la parte dell’affermazione Vaibhashika secondo cui l’esistenza veramente stabilita è l’esistenza stabilita dalla capacità di qualcosa di produrre un effetto. Con questa definizione solo i fenomeni non statici sono veramente stabiliti. I libri di testo di Pancen affermano che Sautrantika accetta solo la parte dell’affermazione Vaibhashika secondo cui l’esistenza veramente stabilita è l’esistenza stabilita dal lato di qualcosa. Con questa definizione, sia i fenomeni non statici che statici hanno un’esistenza veramente stabilita.

Cittamatra definisce l’esistenza veramente stabilita come esistenza stabilita dall’apparire all’assorbimento totale di un arya. Utilizzando questa definizione, Cittamatra rifiuta l’affermazione sautrantika di Jetsunpa secondo cui tutti i fenomeni statici mancano di esistenza veramente stabilita e afferma che non solo i fenomeni non statici, ma anche le vacuità tra i fenomeni statici, hanno un’esistenza veramente stabilita, sebbene gli altri fenomeni statici ne siano privi. Pertanto, Cittamatra rifiuta anche l’affermazione Sautrantika di Pancen, secondo cui tutti i fenomeni statici hanno un’esistenza veramente stabilita.

Svatantrika, quindi, definisce l’esistenza veramente stabilita come stabilita semplicemente dal potere di un segno caratteristico definitorio reperibile dal lato di un oggetto. Utilizzando questa definizione, Svatantrika rifiuta l’affermazione cittamatra secondo cui fenomeni non statici e vacuità hanno un’esistenza veramente stabilita. Niente ha un’esistenza veramente stabilita perché non esiste una cosa del genere. Svatantrika rifiuta anche l’affermazione cittamatra secondo cui i fenomeni statici diversi dalle vacuità hanno un’esistenza stabilita semplicemente dal potere di essere l’oggetto di riferimento di etichette concettuali e parole. Niente ha un’esistenza stabilita semplicemente dal potere di essere l’oggetto di riferimento di un’etichetta concettuale (in altre parole, un concetto) e dal potere di essere l’oggetto di riferimento di una parola, perché anche una cosa del genere non esiste. Invece, Svatantrika afferma che l’esistenza di tutti i fenomeni, sia non statici che statici, è stabilita da una combinazione del potere di un segno caratteristico definitorio individuale reperibile dal proprio lato e del potere del loro essere l’oggetto di riferimento di un’etichetta concettuale e di una parola. 

In altre parole, l’esistenza di qualcosa non è stabilita solo da un singolo segno caratteristico definitorio in essa, ma deve esserci quel singolo segno caratteristico definitorio in congiunzione con ciò a cui si riferisce un’etichetta mentale quando concettualmente etichettata su quel segno caratteristico definitorio. In breve, l’esistenza di qualcosa non è stabilita solo dal fatto che è ciò a cui si riferisce un’etichetta mentale e non è stabilita solo da un singolo segno caratteristico definitorio dal lato dell’oggetto che consente un’etichettatura valida di esso, ma è stabilita dalla combinazione dei due. 

Quindi, deve esserci un segno caratteristico definitorio sul lato dell’oggetto. Deve esserci qualcosa che mi rende “io” e non “tu” dalla mia parte. Cittamatra afferma che c’è qualcosa dalla mia parte che mi rende “io”, indipendentemente dal fatto che il me sia ciò a cui si riferisce la parola “io” o qualsiasi nome ci venga dato, come Sasha o Lena. Svatantrika è d’accordo che c’è questo segno caratteristico definitorio dal lato di un oggetto, ma dobbiamo anche introdurre la relazione con la mente; quindi, è ciò a cui si riferisce una parola o un concetto, in base al fatto che è etichettato su questo gancio, su questo segno caratteristico definitorio individuale. 

L’esistenza veramente stabilita per Madhyamaka Prasanghika 

Prasanghika respinge l’affermazione svatantrika secondo cui l’esistenza dei fenomeni può essere stabilita solo dal potere del loro essere l’oggetto di riferimento di un’etichetta mentale, concetto o categoria concettualmente etichettata sulla base di un segno caratteristico di definizione individuale reperibile dal lato di un oggetto, o dal potere di essere l’oggetto di riferimento di una parola designata sulla base di tale segno caratteristico di definizione. Prasanghika respinge che vi sia un segno caratteristico di definizione individuale reperibile in qualsiasi oggetto e afferma invece che l’esistenza di un fenomeno può essere stabilita solo dal suo essere l’oggetto di riferimento di un’etichetta mentale, concetto o categoria concettualmente etichettata su una base per l’etichettatura, o semplicemente dal suo essere l’oggetto di riferimento di una parola designata su una base per la designazione. Per Prasanghika l’esistenza veramente stabilita equivale all’esistenza stabilita da un segno caratteristico di definizione individuale dal lato di un oggetto sia dal suo stesso potere da solo o dal suo stesso potere in congiunzione con l’etichettatura o la designazione mentale.

Inoltre, tutti i sistemi meno sofisticati affermano che tutti i fenomeni hanno un’esistenza auto-stabilita (rang-bzhin-gyis grub-pa), spesso tradotta come “esistenza intrinseca”. Questa è l’esistenza stabilita da qualcosa che è la “cosa” referente trovabile (btags-don), stabilita dal lato di un oggetto da una natura auto-stabilita (rang-bzhin). Questa “cosa” referente è immaginata come il supporto focale (dmigs-rten) che sostiene l’oggetto referente (btags-chos) di un’etichettatura concettuale con un’etichetta mentale, un concetto o una categoria, o di una designazione con una parola o un nome. Anche Prasanghika usa “esistenza veramente stabilita” come sinonimo di esistenza auto-stabilita e considera l’esistenza stabilita da un segno caratteristico di definizione individuale come esistenza stabilita da un segno caratteristico di definizione individuale auto-stabilito.

Ad esempio, cos’è l’amore? Tutto quello che si può dire è che l’amore è ciò a cui si riferisce la parola “amore” sulla base di certe emozioni che certe classi di esseri senzienti sperimentano. Bene, possiamo cercare nel dizionario la definizione di amore e trovare una caratteristica distintiva, ma quella è stata inventata da qualcuno. Non era già auto-stabilita dalla parte dell’amore. Ognuno di noi sperimenta ciò che chiamiamo “amore” in modo molto diverso. Ciò che sperimento e ciò che chiamo “amore” non è esattamente la stessa cosa per te e ogni volta che lo sperimento potrebbe essere diverso. Cosa c’è dalla parte dell’emozione che lo rende amore? L’unica cosa che stabilisce l’esistenza dell’amore è la parola “amore” che, dopo tutto, è solo una combinazione di suoni senza senso che qualcuno ha deciso essere una parola, dandole un significato e una definizione che qualcuno ha anche inventato. 

Esiste l’amore? Sì. Bene, cos’è? Tutto ciò che possiamo dire è che è ciò a cui si riferisce la parola o il concetto “amore”. Si riferiscono a qualcosa. Lo sperimentiamo, ma non c’è nulla che corrisponda a questa parola o concetto che si trova da qualche parte nella nostra testa - o chissà dove - come una “cosa” di riferimento incapsulata nella plastica, con una definizione stampata sopra, ed eccola lì, questo è amore. Ma questo è ciò che implica un dizionario, non è vero? Ci sono tutte queste categorie come piccole scatole nella nostra testa, ed ecco la scatola chiamata “amore”, quella chiamata “gentilezza”, “felicità”. Le cose non esistono in scatole del genere, stabilite dal potere di qualcosa di trovabile dalla loro parte. È un modo impossibile di esistere che la “cosa” di riferimento in questa scatola esista da sola, indipendentemente da qualsiasi cosa, e che si trovi lì per il suo potere, rendendo qualcosa ciò che è. 

Sicuramente la maggior parte di noi pensa che ci debba essere qualcosa dentro che mi rende “me”, che “io sono speciale” o “tu sei speciale”, quando siamo infatuati di qualcuno, che c’è qualcosa dalla tua parte che ti rende “te” e ti rende così speciale - non esiste una cosa del genere. Tuttavia, tutti e tutto sono individuali. Non è così facile capire che ogni cosa conservi la sua individualità, ma questa non è stabilita da qualcosa dalla parte dell’oggetto. 

Possiamo vedere da questa progressione di definizioni sempre più raffinate di esistenza veramente stabilita e di analisi sempre più sottili di come le cose esistono e di come non esistono, così che la nostra comprensione della vacuità – l’assenza di ciò che è impossibile - diventa sempre più sottile. Ovviamente, dobbiamo lavorare con questo per moltissimo tempo per poter riconoscere effettivamente l’afferrarsi a questi modi impossibili di esistere che ognuno di noi ha automaticamente. Perché questo sforzo abbia successo, come ho sottolineato prima, dobbiamo accumulare un’enorme riserva di forza positiva e dedicarla con bodhicitta al raggiungimento della nostra illuminazione. 

La vacuità conosciuta concettualmente e non concettualmente

La presentazione Svatantrika-ghelug 

La scuola Svatantrika differenzia ciò che è chiamato fenomeni ultimi numerabili (rnam-grangs-pa’i don-dam) e fenomeni ultimi non numerabili (rnam-grangs ma-yin-pa’i don-dam). “Numerabile” significa che può essere annoverato tra quelle cose che possono apparire ed essere conosciute concettualmente; “non numerabile” significa che non può essere annoverato tra quelle cose che possono apparire ed essere conosciute concettualmente. 

Stiamo parlando di fenomeni ultimi, quindi in Svatantrika-ghelug stiamo parlando solo di vacuità. Quando ci concentriamo concettualmente sulla vacuità di un’esistenza veramente stabilita, una rappresentazione concettuale di una vacuità appare come un oggetto convenzionale, con un segno caratteristico definitorio dal suo lato, un po’ come un uncino. Questo segno caratteristico definitorio rintracciabile ha il potere di stabilire l’esistenza della vacuità come un oggetto convenzionale in congiunzione con il fatto che è concettualmente etichettato con la categoria “vacuità” e accuratamente designato con la parola “vacuità”. 

  • La categoria “vacuità” è accuratamente etichettata concettualmente in questa rappresentazione concettuale di una vacuità a causa di questo segno caratteristico definitorio simile a un uncino. 
  • La parola “vacuità” può essere accuratamente designata concettualmente su questa rappresentazione concettuale di una vacuità perché questo segno caratteristico definitorio simile a uncino è la definizione della parola “vacuità”. 

Pertanto, la vacuità concettualmente conosciuta è un fenomeno ultimo numerabile; può essere annoverata tra le cose che possono apparire ed essere conosciute concettualmente e designate con parole. 

Quando ci concentriamo sulla vacuità in modo non concettuale, non sorge alcuna apparenza della vacuità come un oggetto convenzionale che ha un segno caratteristico definitorio rintracciabile. Sorge e appare solo un’assenza totale, nessun oggetto convenzionale. Questa assenza totale non ha alcun segno caratteristico definitorio rintracciabile dalla sua parte che ha il potere di stabilire l’esistenza ultima della vacuità in congiunzione al fatto che è accuratamente etichettata concettualmente con la categoria “vacuità” e accuratamente designata con la parola “vacuità”. Non ha alcun “uncino” su cui la categoria “vacuità” può essere etichettata concettualmente o uno su cui la parola “vacuità” può essere designata concettualmente. Pertanto, la vacuità non concettualmente conosciuta è un fenomeno ultimo non numerabile; non può essere annoverata tra le cose che possono apparire ed essere conosciute concettualmente ed essere designate con parole. È al di là dei concetti e delle parole.

Importare i termini “ultimo numerabile” e “ultimo non numerabile” nella presentazione prasanghika della vacuità concettualmente conosciuta e della vacuità non concettualmente conosciuta, può aiutarci a comprendere la differenza tra le presentazioni ghelug e quelle non ghelug.

La presentazione Prasanghika 

Una differenza importante tra le affermazioni Prasanghika ghelug e non ghelug sulla vacuità riguarda l’oggetto da negare. Entrambe concordano sul fatto che questo oggetto è una fabbricazione concettuale (spros-pa) e che sia la cognizione non concettuale della vacuità sia la vacuità che è conosciuta non concettualmente sono separate dalla fabbricazione concettuale (spros-bral). Entrambe concordano anche sul fatto che gli oggetti convenzionali sembrano avere un’esistenza veramente auto-stabilita. Abbiamo già spiegato la definizione ghelug di esistenza veramente auto-stabilita. Per i non ghelug, il livello grossolano di esistenza veramente auto-stabilita si riferisce a una dualità di oggetti conosciuti e delle menti che li conoscono che sono stabiliti indipendentemente l’uno dall’altro dal potere di una natura auto-stabilita (rang-bzhin) riscontrabile dalla parte di entrambi. 

Nel contesto della cognizione, i ghelug differenziano l’apparenza di ciò che sono gli oggetti convenzionali e del loro modo di esistenza - esistenza veramente auto-stabilita - sebbene nel contesto di come esistono i fenomeni, i due sono inseparabili. I non-ghelug affermano che i due sono inseparabili anche nel contesto della cognizione. A causa di questa differenza, i ghelug affermano che la fabbricazione concettuale si riferisce solo all’esistenza veramente auto-stabilita e non all’apparenza accurata di ciò che sono gli oggetti convenzionali. I non-ghelug affermano che gli oggetti convenzionali presi nel loro insieme - quindi, l’apparenza di ciò che sono e la loro esistenza veramente auto-stabilita - sono fabbricazioni concettuali. Quindi, per i ghelug la vacuità nega solo l’esistenza veramente auto-stabilita e non gli oggetti convenzionali, mentre per i non-ghelug la vacuità nega l’esistenza di oggetti convenzionali che sono qualsiasi cosa diversa da semplici fabbricazioni concettuali. Questo è il livello sottile dell’esistenza veramente auto-stabilita.

Nel contesto della vacuità conosciuta concettualmente, i ghelug spiegano che appare una rappresentazione concettuale di una vacuità che sembra avere un’esistenza veramente auto-stabilita. L’oggetto implicito (zhen-yul) della rappresentazione concettuale dell’esistenza veramente auto-stabilita non esiste. Non esiste una cosa come un’esistenza veramente auto-stabilita; è solo una fabbricazione concettuale. D’altro canto, l’oggetto implicito di ciò che la vacuità sembra essere è lo stesso di ciò che la vacuità non concettualmente conosciuta sembra essere; non è una fabbricazione concettuale. Per questo motivo, i prasaghika-ghelug affermano che non c’è differenza tra vacuità concettualmente conosciuta e quella conosciuta non concettualmente.

Nel contesto della vacuità conosciuta concettualmente, le tradizioni non-ghelug in generale spiegano che sorge una vacuità concettualmente costruita come oggetto convenzionale. Il suo oggetto implicito non esiste. Per questo motivo, i prasanghika non-ghelug affermano che la vacuità concettualmente conosciuta e la vacuità non concettualmente conosciuta non sono la stessa cosa.

Sia i ghelug che i non-ghelug concordano sul fatto che le categorie di oggetti (don-spyi) come la categoria “vacuità” sono equivalenti a ciò che può essere chiamato “concetti” - il concetto di “vacuità”. Concordano anche sul fatto che le categorie o i concetti sono la base per la designazione di parole, come la parola “vacuità”, e che la cognizione non concettuale non coinvolge categorie, concetti o parole. Poiché i ghelug non affermano alcuna differenza tra vacuità concettualmente conosciuta e vacuità non concettualmente conosciuta, non affermano una vacuità che sia al di là delle parole e dei concetti. Poiché i non-ghelug affermano la vacuità non concettualmente conosciuta come diversa dalla vacuità concettualmente conosciuta affermano la vacuità non concettualmente conosciuta come al di là delle parole e dei concetti.

Nella nostra ricerca di una grande teoria unificata di queste asserzioni buddhiste, postulerei che l’asserzione ghelug della vacuità delle cose referenti reperibili che sono il supporto focale degli oggetti referenti dell’etichettatura mentale è equivalente all’asserzione non ghelug della vacuità degli oggetti convenzionali che sono diversi da semplici fabbricazioni concettuali. Un oggetto convenzionale che non è semplicemente una fabbricazione concettuale è una “cosa” referente reperibile, ed entrambe le presentazioni della vacuità possono essere chiamate “vacuità di esistenza veramente auto-stabilita”. Questa teoria, tuttavia, deve essere analizzata ulteriormente.

Passare dalla cognizione concettuale alla cognizione non concettuale della vacuità

Una questione cruciale per tutti i sistemi filosofici e le interpretazioni tibetane è come passare da una cognizione concettuale della vacuità a una non concettuale della stessa. Per comprendere le varie affermazioni, dobbiamo sapere che, in generale, tutte le presentazioni dei prasanghika affermano la vacuità dei quattro estremi (mtha’-bzhi): (1) la vacuità dell’esistenza veramente auto-stabilita, (2) la vacuità di quella vacuità, (3) la vacuità sia dell’esistenza veramente auto-stabilita sia della vacuità di quella vacuità, e (4) la vacuità né dell’esistenza veramente auto-stabilita né della vacuità di quella. Tutte le tradizioni tibetane affermano anche che la vacuità concettualmente conosciuta appare come un oggetto convenzionale e quindi con un’esistenza veramente auto-stabilita. Con questi punti in mente esaminiamo l’affermazione ghelug e l’affermazione di alcuni dei maestri di alcune delle tradizioni non ghelug.

I prasanghika-ghelug spiegano che la vacuità concettualmente conosciuta e la vacuità non concettualmente conosciuta sono la stessa cosa. Poiché la vacuità concettualmente conosciuta appare con un’esistenza veramente auto-stabilita, la cognizione concettuale della vacuità di questa vacuità non lascia alcuna esistenza auto-stabilita che possa poi essere conosciuta. Avendo conosciuto concettualmente la vacuità, una per una, dei quattro estremi, la cognizione concettuale simultanea della vacuità di tutti e quattro gli estremi dà accesso all’assorbimento totale non concettuale di un arya sulla vacuità, che non ha alcuna apparenza di esistenza auto-stabilita.

I prasanghika non-ghelug spiegano che la vacuità concettualmente conosciuta e la vacuità non concettualmente conosciuta non sono la stessa cosa. Come detto prima, i nyingma chiamano la vacuità non concettualmente conosciuta come “al di là delle parole e dei concetti”; i jonangpa la chiamano “al di là dell’esistenza e della non esistenza”. La cognizione concettuale della vacuità di ciascuno dei quattro estremi, sia uno per uno che tutti simultaneamente, dà origine alla fabbricazione concettuale di una vacuità come oggetto convenzionale. Alcuni non-ghelugpa, come il maestro nyingma Mipam (’Ju Mi-pham’ Jam-dbyangs rnam-rgyal rgya-mtsho), affermano che sia la cognizione concettuale di ciascuna vacuità dei quattro estremi sia la cognizione concettuale simultanea della vacuità di tutti e quattro gli estremi senza conoscerli concettualmente uno per uno, danno entrambe accesso all’assorbimento totale non concettuale di un arya sulla vacuità. Altri non-ghelugpa, come il maestro sakya Gorampa (Go-rams-pa bSod-nams seng-ge), affermano che persino la cognizione concettuale della vacuità simultanea di tutti e quattro gli estremi non dà accesso all’assorbimento totale non concettuale di un arya sulla vacuità. Sebbene tale cognizione concettuale sia un prerequisito, si devono usare metodi aggiuntivi per accedere alla profonda consapevolezza di questo assorbimento totale.

Vacuità di sé e vacuità d’altro

Ci sono diverse visioni della vacuità di sé e d’altro nelle tradizioni non-ghelug, in particolare nelle tradizioni Nyingma, Karma Kagyu, Rime e Jonang. Tuttavia, non tutti i maestri Nyingma e Kagyu affermano la vacuità d’altro e quelli che la affermano non lo fanno tutti allo stesso modo. Non abbiamo tempo di esaminare tutte le singole asserzioni in dettaglio, quindi menzionerò solo alcuni punti salienti.

I sistemi di vacuità d’altro non confutano la vacuità di sé, ma affermano la validità sia della vacuità di sé che della vacuità d’altro. 

  • Alcuni di questi sistemi affermano che entrambe le vacuità sono equivalenti.
  • Alcuni sostengono che la vacuità di sé si applica alla vacuità d’altro, altri sostengono che ciò non si applica.
  • Alcuni sostengono che la vacuità di sé è ciò che viene riconosciuto durante la fase di assorbimento totale non concettuale di un arya e la vacuità d’altro è ciò che viene riconosciuto durante la fase di ottenimento susseguente non concettuale di un arya.
  • Alcuni sostengono che entrambe le vacuità sono di significato definitivo (nges-don).
  • Alcuni affermano che la vacuità di sé è di significato interpretabile (drangs-don). La vacuità di sé deve essere prima compresa e poi ciò conduce alla vacuità d’altro come insegnamento di significato definitivo.   

Ghelug non afferma la vacuità di sé e la vacuità, d’altro pertanto è inappropriato considerare l’affermazione prasanghika-ghelug della vacuità dell’esistenza veramente auto-stabilita come la vacuità di sé affermata dai sistemi non ghelug, specialmente perché alcuni maestri non ghelug chiamano l’affermazione prasanghika-ghelug “falsa vacuità di sé”.

  • Alcuni sistemi non ghelug affermano che la vacuità di sé è la vacuità degli oggetti convenzionali che sono realmente auto-stabiliti come oggetti convenzionali – in altre parole, la vacuità degli oggetti convenzionali è qualsiasi cosa diversa dalle fabbricazioni concettuali.
  • Alcuni sostengono che la vacuità di sé è la vacuità di una dualità di oggetti conosciuti e che le menti che li conoscono sono stabilite indipendentemente l’una dagli altri dal potere di una natura auto-stabilita, riscontrabile da entrambi i lati.
  • Alcuni sostengono che le due posizioni sopra menzionate rappresentino due livelli di vacuità di sé. 

Per quanto riguarda le varie affermazioni di vacuità d’altro, un punto importante da tenere a mente è che, anche se molti dei sistemi non-ghelug affermano una differenza tra vacuità concettualmente conosciuta e vacuità non concettualmente conosciuta, nessuno chiama la vacuità non concettualmente conosciuta che è al di là delle parole e dei concetti o al di là dell’esistenza e della non esistenza “vacuità d’altro”. Chiamano la mente di chiara luce o rigpa che non concettualmente conosce questa vacuità “vacuità d’altro”. Tuttavia, affermano che sia la mente di chiara luce o rigpa sia la vacuità che essa riconosce sono entrambi fenomeni ultimi non numerabili. Costituiscono il “grembo per un Così Andato” (de-bzhin snying-po, sanscr. tathāgatagarbha) – “natura di Buddha”. Anche i sistemi non ghelug affermano tutti che la mente di chiara luce o rigpa è ricca di tutte le buone qualità. 

Karma Kagyu differenzia due tipi di asserzioni di vacuità d’altro: vacuità d’altro sfera (dbyings gzhan-stong; “vacuità d’altro espansione”) e vacuità d’altro chiarezza (gsal-ba gzhan-stong; vacuità d’altro luminosità”). Questa classificazione può essere applicata a tutte le varie visioni della vacuità d’altro. I due tipi di asserzioni, tuttavia, non si escludono a vicenda.

  • La vacuità d’altro espansione spiega la mente di chiara luce come una sfera della realtà (chos-dbyings, sanscr. dharmadhātu) che è priva di fabbricazione concettuale. 
  • La vacuità d’altro chiarezza spiega la mente di chiara luce o rigpa come un livello della mente che è privo di macchie passeggere, che sono tutte estranee ad essa e diverse da essa. 

Tra le varie presentazioni di vacuità d’altro chiarezza:

  • Alcuni sostengono che le macchie fugaci sono livelli mentali più grossolani. 
  • Alcuni adattano la terminologia cittamatra dei tre tipi di fenomeni caratterizzati: totalmente concettuali, dipendenti e completamente stabiliti. Affermano che la mente di chiara luce della vacuità d’altro è completamente stabilita e priva delle macchie fugaci che sono fenomeni totalmente concettuali e fenomeni dipendenti.
  • Alcuni sostengono che le macchie passeggere sono il risultato dell’inconsapevolezza che la dualità è totalmente concettuale e quindi falsa.   

Quindi, possiamo vedere da tutto questo che c’è una grande varietà di asserzioni di vacuità di sé e d’altro. Ci sono anche molte critiche di queste varie asserzioni. 

  • Alcune sono mosse da coloro che non affermano personalmente la vacuità d’altro, altre da coloro che invece la affermano. 
  • Alcune critiche sono rivolte ai ghelug come se le loro affermazioni fossero quelle di una falsa vacuità di sé e di un falso vacuità d’altro.
  • Alcune critiche sono rivolte alle affermazioni dei sostenitori della vacuità d’altro.

Una delle critiche più note è quella rivolta ai sistemi di vacuità d’altro chiarezza che adattano la terminologia cittamatra dei tre tipi di fenomeni caratterizzati. La scuola Cittamatra afferma che i fenomeni dipendenti sono privi dell’essere come i fenomeni totalmente concettuali, e i fenomeni completamente stabiliti sono privi dell’essere come fenomeni dipendenti. In Prasanghika-ghelug possiamo usare questi termini con riferimento a un fenomeno. In termini di questo fenomeno, ciò che è completamente stabilito è la sua vacuità (quella è la sua verità più profonda); ciò che è dipendente è la sua verità convenzionale o verità relativa, e ciò che è totalmente concettuale è la sua apparenza di esistenza veramente auto-stabilita. Ma tutti e tre sono privi di esistenza veramente auto-stabilita. 

I sistemi di vacuità d’altro che adattano questa terminologia cittamatra la impiegano in accordo con la presentazione cittamatra non-ghelug. Ognuno dei tre tipi di fenomeni caratterizzati include un tipo di mente e gli oggetti che essa conosce. I fenomeni dipendenti sono privi di essere totalmente concettuali. I fenomeni totalmente concettuali sono cose che possiamo conoscere solo concettualmente e le menti concettuali che li conoscono. 

I fenomeni dipendenti sono cose che possiamo conoscere in modo non concettuale e le menti non concettuali che li conoscono. Quelli che possiamo conoscere in modo non concettuale derivano da cause e circostanze. Sono non statici e non come le cose che possiamo conoscere solo concettualmente, che sono statiche. Quando conosciamo un fenomeno dipendente, qualcosa che nasce da cause e condizioni, come la nostra mano, lo vediamo in modo non concettuale; quindi, è privo di pensiero concettuale e categorie. 

La mente di chiara luce in tali sistemi di vacuità d’altro è completamente stabilita. È priva persino di questi fenomeni dipendenti, in altre parole, è priva persino dei nostri livelli mentali più grossolani che hanno cognizione non concettuale, come quando si vede la mano con la coscienza visiva. Nessuno, nemmeno coloro che non affermano la vacuità d’altro, contesta che la mente di chiara luce sia così.

Tuttavia, tale visione della vacuità d’altro diventa controversa quando, invece di essere asserita solo da un punto di vista epistemologico - dal punto di vista della mente di chiara luce priva di certi modi di conoscere e dei loro oggetti - viene asserita anche da un punto di vista ontologico - dal punto di vista della mente di chiara luce priva dei modi di esistere che questi livelli più grossolani della mente proiettano e conoscono. 

Come abbiamo visto, i sistemi prasanghika non-ghelug affermano la vacuità che è al di là delle parole e dei concetti come un fenomeno ultimo non numerabile. Tale vacuità è al di là della vacuità dei quattro estremi: la vacuità dell’esistenza veramente auto-stabilita, la vacuità della vacuità dell’esistenza veramente auto-stabilita, la vacuità sia dell’esistenza veramente auto-stabilita sia della vacuità di essa, e la vacuità né dell’esistenza veramente auto-stabilita né della vacuità di essa. In questo contesto, ci sono due livelli di esistenza veramente auto-stabilita che vengono confutati:

  • L’esistenza grossolana veramente auto-stabilita è la dualità degli oggetti conosciuti e delle menti che li conoscono, che sono stabiliti indipendentemente gli uni dalle altre. Tale dualità è ciò che è conosciuto dalle menti concettuali, e sia queste menti che questa dualità sono totalmente concettuali.
  • L’esistenza sottile veramente auto-stabilita è l’esistenza di oggetti convenzionali come realmente stabiliti come oggetti convenzionali. Tali oggetti convenzionali veramente stabiliti sono ciò che è riconosciuto dalle menti non concettuali, e sia queste menti che questi oggetti convenzionali, veramente stabiliti come oggetti convenzionali, sono fenomeni dipendenti.

I controversi sistemi di vacuità d’altro affermano che il modo di esistenza della mente di chiara luce è al di là dei quattro estremi. È al di là dell’essere priva di entrambi i livelli di esistenza veramente auto-stabilita, al di là dell’essere priva di essere priva di entrambi i livelli di esistenza veramente auto-stabilita, e così via. Quindi, come esiste? Il suo modo di esistere è non-numerabile, non può essere incluso in nessuno di questi estremi. Deve essere un modo di esistere che è al di là di tutti questi estremi e, poiché la mente di chiara luce è sperimentata nella meditazione dagli yoghi, non possiamo dire che sia totalmente inesistente.

Per evitare l’estremo del nichilismo, questi controversi sistemi di vacuità d’altro affermano che la mente di chiara luce è veramente esistente. Ma “veramente esistente”, qui, non significa veramente esistente né nel modo prasanghika-ghelug di definirla né nei due modi non prasanghika non-ghelug di definirla. La mente di chiara luce è veramente esistente perché, a differenza dei fenomeni totalmente concettuali e dipendenti che non possono resistere all’analisi (quando analizzati, non possono essere trovati), la chiara luce può resistere all’analisi. Si scopre che è statica, immutabile, stabile, eterna e una consapevolezza profonda riflessiva che è piena di tutte le buone qualità. È al di là dell’origine interdipendente nel senso che è al di là dell’origine interdipendente da cause e condizioni: è priva di essere un fenomeno dipendente.

La grande obiezione qui con questa posizione di vacuità d’altro è che di solito è spiegata in modo poco chiaro. Poiché non è spiegata chiaramente, un’implicazione è che c’è un regno trascendente realmente esistente - il regno della mente di luce chiara trascendentalmente esistente - e tutto il resto non esiste realmente. Ciò riduce il sistema fondamentalmente al Vedanta - Brahman esiste realmente e tutto il nostro mondo relativo, che è erroneamente concepito come separato da Brahman, è un’illusione; non esiste affatto. 

Questa controversa visione della vacuità d’altro è sostenuta dalle scuole Jonangpa, Rime e dall’attuale Karma Kagyu. Poiché i ghelug trovano poco chiare le loro spiegazioni, li accusano di affermare che la mente di chiara luce è veramente esistente in termini della definizione prasanghika-ghelug di esistenza veramente auto-stabilita. L’unica visione accettabile della vacuità d’altro è quella che accetta che la mente di chiara luce sia vacua di sé, ma nel senso di essere priva di ciò che i ghelug affermano come esistenza veramente auto-stabilita.  

Sia Karma Kagyu che Jonangpa differenziano anche una visione corretta e una scorretta della vacuità d’altro. Karma Kagyu dice “Non abbiamo una visione scorretta, la visione jonangpa della vacuità d’altro è scorretta”. La visione jonangpa è scorretta perché afferma che la mente di chiara luce, come natura di Buddha, è identica al livello di base negli esseri limitati e al livello risultante dei Buddha. Karma Kagyu dice che, se fosse così, allora gli esseri limitati non sarebbero limitati, sarebbero già Buddha. Questo è assurdo. 

I jonangpa dicono “Noi non abbiamo una visione sbagliata. Solo i non buddhisti hanno visioni sbagliate”. È come se i buddhisti accusassero i bonpo di sacrifici animali, e i Bonpo dicessero “Non lo abbiamo mai fatto. Era qualcosa che solo gli sciamani facevano in Tibet prima del Bon”. 

Questi sono alcuni dei problemi coinvolti con la vacuità di sé e d’altro. Come ho detto all’inizio, dobbiamo essere un po’cauti in particolare con le visioni della vacuità d’altro perché spesso, come sottolinea Sua Santità il Dalai Lama, il modo in cui viene descritta dai grandi maestri nei testi è poco chiaro e confuso. La loro esperienza di meditazione potrebbe essere stata molto valida, ma il loro modo di scrivere non era il migliore. 

I fenomeni di negazione 

Ho tralasciato una grande parte della discussione ma non abbiamo molto tempo, ed è ancora più complicata di quello di cui ho appena discusso - i fenomeni di negazione (dgag-pa). Ma questo dovrà aspettare un’altra volta. 

Questo argomento riguarda diversi tipi di oggetti e come li conosciamo. C’è una bella differenza tra sapere che “questa è una tazza” e, quando sollevo l’orologio, che “questa non è una tazza”. Come facciamo a sapere che non è una tazza? Questo è l’argomento dei fenomeni di negazione, ed è molto rilevante per la discussione di “non veramente esistente”. Come facciamo a saperlo? Tutta questa questione dei fenomeni di negazione è, come ho detto, essenziale per il dibattito sulla vacuità di sé e d’altro.

Punti in comune tra i diversi punti di vista 

Se osserviamo in modo imparziale le varie visioni della vacuità di sé e d’altro, riconoscendo (come fanno tutti) che esiste, di fatto, una visione errata della vacuità d’altro - e nessuno dirà che è ciò in cui crede - e osserviamo quali sono le varie visioni corrette della vacuità d’altro allora, nonostante le loro differenze, non c’è problema nel descrivere ciò che dobbiamo comprendere, ciò che dobbiamo raggiungere per ottenere l’illuminazione. Tutte le visioni accettano che, per raggiungere l’illuminazione, dobbiamo manifestare una mente di chiara luce con una cognizione non concettuale della vacuità. Questo è il caso, indipendentemente da come descriviamo gli attributi di quella mente di chiara luce e da come specifichiamo la vacuità che deve conoscere.

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