Cosa sappiamo dopo aver negato qualcosa?
Abbiamo parlato dell’importanza di affermazioni e negazioni. Ieri sono emersi parecchi punti e alcune domande sono rimaste aperte. Una negazione è quella in cui c'è una vera e propria esclusione precedente, o l'eliminazione di un oggetto da negare, e questo viene fatto dalla nostra mente concettuale. Quindi, la domanda è: cosa sappiamo alla fine?
Un esempio molto comune: stiamo scorrendo i canali televisivi in cerca di qualcosa da guardare, o sfogliando un menu "Cosa voglio mangiare?". Guardiamo ogni piatto, ogni canale, ogni voce del menu. La televisione è un esempio migliore. Guardiamo ogni programma in onda e ci rendiamo conto che "questo non è quello che voglio guardare", e cambiamo passando da un canale all'altro. Dobbiamo sapere cosa vogliamo guardare per vedere questi programmi come "quelli che non voglio guardare"? Quando guardiamo il menu, dobbiamo sapere cosa vogliamo mangiare per poter guardare i vari piatti sul menu e dire: "Questo non è quello che voglio mangiare"? Dopo aver eliminato tutti i possibili canali televisivi, sappiamo cosa vogliamo guardare? No, non lo sappiamo, vero? Quali sono le due possibilità?
Potresti spegnere la TV.
Sì, potremmo spegnere la TV. Smettere di guardarla.
Oppure ricominciare da capo e scegliere qualcosa di qualità inferiore.
Oppure accontentarci di qualcosa che in realtà non volevamo guardare, ma lo prendiamo perché non c'è nient'altro. Ma è una negazione, no? "Non è questo che voglio guardare".
Si basa sulla vaga idea di cosa voglio guardare.
Ottimo. Si basa sulla categoria generale di ciò che vogliamo guardare, ma non su qualcosa di specifico in quella categoria. Ciò che vorremmo guardare specificamente all'interno di quella categoria cambierà. Stiamo parlando di una categoria generale di "ciò che voglio guardare". Anche questa potrebbe non essere così ben definita perché potremmo trovare qualcosa che non pensavamo di voler guardare, ma in realtà è piuttosto interessante.
È un po' vago.
È un po' vago. È la stessa cosa di cosa vogliamo mangiare, cosa vogliamo fare oggi, cosa vogliamo fare questo fine settimana. Alcune cose sono decisamente escluse. Non vogliamo combattere in Iraq questo fine settimana, per esempio, questo è abbastanza certo. Non vogliamo morire questo fine settimana, ma non sappiamo necessariamente cosa vogliamo fare.
Ora, dobbiamo entrare un po' più nel tecnico per capire più a fondo cosa accade qui. Innanzitutto, dobbiamo tornare alla discussione che abbiamo già iniziato sugli specificatori. Cos'è che voglio fare? Beh, possiamo specificare concettualmente "cosa voglio fare" con la doppia negazione; quello che voglio fare è "non quello che non voglio fare", oppure abbiamo trovato un modo più semplice per esprimerlo come "non è altro che quello che voglio fare". Ora, "nient'altro che quello che voglio fare" è in realtà un fenomeno di negazione implicativa. Il fenomeno di affermazione che il suono delle parole con cui viene espresso lascia dietro di sé è "qualcosa che voglio fare". Tuttavia, come abbiamo visto, qui stiamo specificando solo la categoria generale "cosa voglio fare" o "cosa voglio mangiare" o "cosa voglio guardare in televisione".
In realtà, tutto si riduce a "cosa mi piace guardare", "cosa mi piace mangiare" e "cosa mi piace fare". È sulla base di "cosa mi piace" che di solito vogliamo fare qualcosa. Tuttavia, non addentriamoci troppo in questa distinzione. Ma quando stiamo valutando delle scelte e prendiamo una decisione del tipo "non quello che voglio fare", "non quello che voglio fare", "non quello che voglio fare", allora "non quello che voglio fare" è anche una negazione implicita. Il fenomeno di affermazione che il suono della sua parola lascia dietro di sé è l'attività che è alla base di ciò che non voglio fare, ad esempio "morire oggi". Il suono non lascia dietro di sé la base per la negazione, "qualcosa che voglio fare" – o, più precisamente, qualcosa che rientra nella categoria "attività che voglio fare oggi". Non è un'attività specifica.
Se chiediamo: "Come specifichi il modo possibile di esistere?", lo specificheremmo dicendo che è "nient'altro che il modo possibile di esistere", in altre parole sarebbe "non ciò che è un modo impossibile di esistere". Come abbiamo visto, non dobbiamo conoscere assolutamente ogni modo impossibile di esistere per specificare il modo possibile di esistere - che le cose funzionino e che abbiano un senso logico. Da un punto di vista buddhista, questa è l'unica cosa possibile. Come funzioni effettivamente – che le cose funzionino e che abbiano un senso logico – è una questione completamente diversa. Inoltre, quando parliamo di escludere ciò che è impossibile, ovviamente, ogni sistema filosofico concorderà sul fatto che ciò che è impossibile è che le cose non funzionano affatto e non hanno alcun senso. Ora, il modo in cui ogni sistema specificherà un modo in cui le cose non hanno senso e non funzionano sarà diverso, ma tutti confutano modi impossibili di esistere.
Quando meditiamo sulla vacuità, lavoriamo con un modo specifico di esistere, che per caso rientra nella categoria dei "modi impossibili di esistere". Quindi, lo neghiamo con una negazione non implicativa, "non esiste una cosa del genere", e il suono delle sue parole non lascia alcun fenomeno di affermazione al suo seguito – come qual è il modo specifico di esistere che è possibile, come l'origine interdipendente. Sebbene il modo effettivo in cui le cose esistono sia in termini di origine interdipendente, non è che dobbiamo saperlo prima di eliminare i modi impossibili di esistere, e non è che lo sappiamo dopo averli eliminati. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è una qualche categoria generale di "modo possibile di esistere". Non c'è bisogno di definirlo in modo specifico, proprio come quando parlavamo della categoria generale di "cosa mi piacerebbe fare" o "cosa mi piacerebbe mangiare". Quindi, conoscere l'equivalenza tra vacuità e origine interdipendente non è così semplice.
Ricordate, per liberarci dalla nostra sofferenza dobbiamo liberarci della sua causa, l'attaccamento a una vera esistenza trovabile. Dobbiamo negarla per liberarci dalla sofferenza, ma ciò non implica che sappiamo, alla fine di quella negazione, come le cose esistono realmente. La negazione stessa non porta con sé (per tornare alla nostra terminologia tecnica) il modo in cui le cose esistono realmente.
Se nego "elefanti rosa", non abbiamo alcun oggetto di riferimento. Ne so di più di prima?
Quando neghiamo gli "elefanti rosa", cosa sapevamo prima? Il problema è: qual è l'effetto del negarlo? L'effetto è che, se fossimo spaventati e sconvolti perché pensavamo che gli elefanti rosa fossero reali, che ci stessero invadendo dalla quinta dimensione, se ci rendessimo conto che non esiste nulla del genere, alla fine ci libereremmo da quella paura, quando ne saremmo davvero convinti. Alla fine, smetteremmo di fantasticare sull'esistenza degli elefanti rosa, perché è solo l'abitudine di credere negli elefanti rosa che ci porta a continuare non solo a crederci, ma anche ad avere allucinazioni. Ricordate, il punto centrale della comprensione della vacuità è sbarazzarsi delle cause della sofferenza. Non è solo un interessante esercizio intellettuale.
Confronto con la realizzazione della non staticità
Quando neghiamo la vera esistenza, stiamo forse negando che le cose siano statiche e, alla fine, ci ritroviamo a pensare che le cose non lo siano e che siano impermanenti?
Beh, conoscendoti e sapendo che hai una solida formazione theravada (sanscr. theravāda), penso che tu stia confondendo il sistema Prasanghika (sanscr. Prāsaṅgika) con alcune affermazioni di alcuni sistemi filosofici Hinayana (sanscr. Hīnayāna). Innanzitutto, se consideriamo il sistema Sautrantika (sanscr. Sautrāntika) all'interno dell'Hinayana, si afferma che i fenomeni statici sono metafisici, mentre i fenomeni non statici sono oggettivi. Potresti pensare che, quando confutiamo i fenomeni metafisici, ci ritroviamo con fenomeni oggettivi e che in realtà sia proprio questo il punto della confutazione. Se così fosse, allora ci sarebbe un po' di confusione, perché ciò che afferma il Sautrantika è che i fenomeni metafisici non sono realmente esistenti e i fenomeni oggettivi sono realmente esistenti. Quindi, rispetto a quanto hai chiesto, la situazione è un po' diversa.
È come il nostro esempio di Tenzin, "non il mio Tenzin", "non il tuo Tenzin". Non stiamo parlando della vera esistenza come definita nella tradizione Sautrantika. Non stiamo nemmeno parlando della vera esistenza come definita nei sistemi Cittamatra (sanscr. Cittamātra) o Svatantrika (sanscr. Svātantrika). Stiamo parlando della vera esistenza come definita nel sistema Prasanghika. Di quale Tenzin stiamo parlando allora? Ecco perché è molto importante identificare l'oggetto da confutare, l'oggetto da negare, in modo da non parlare del "tuo Tenzin" ma del "mio Tenzin".
Tutti questi tipi di vera esistenza sono modi impossibili di esistere, ma dobbiamo capire cosa si intende qui per "impossibile". "Impossibile" è definito in termini di negazione di ciò che pensiamo sia possibile, e ciò che pensiamo sia possibile potrebbe non esserlo. Ciò che è impossibile per me è diverso da ciò che è impossibile per te. Ciò che non voglio mangiare io non è ciò che non vuoi mangiare tu, vero? Ciò che dobbiamo comprendere è che ogni scuola filosofica ha in realtà un'idea molto diversa di cosa significhi vera esistenza.
Inoltre, c'è un'altra differenza fondamentale tra la non staticità e la "nessuna vera esistenza". Secondo i libri di testo e le definizioni di Jetsunpa, "non statico" è un fenomeno di affermazione perché nel satipatthana (la meditazione dei piazzamenti ravvicinati della consapevolezza) possiamo osservarlo. Ogni istante di sensazione fisica e così vi cambia, e da questo possiamo semplicemente osservare che è non statico, come si fa nella meditazione theravada. Non è necessario avere un'idea chiara di cosa sia la staticità e negarla per osservare il cambiamento in ogni istante delle nostre sensazioni. Ecco perché è un fenomeno di affermazione, ed ecco perché c'è una grande differenza tra non statico e pensare effettivamente "non statico", in cui sapevamo cosa fosse la staticità, e poi attraverso una linea di inferenza lo abbiamo confutato, come confutare che il suono è permanente, statico. La scuola filosofica Mimamsaka (sanscr. Mīmāṃsaka) afferma che il suono è statico perché il suono dei Veda è eterno e immutabile.
Inoltre, come abbiamo discusso nella nostra ultima sessione, ci sono due definizioni di inconsapevolezza o ignoranza. L'inconsapevolezza è un fenomeno di negazione, ma cosa sta effettivamente negando? Sebbene ciò di cui l'inconsapevolezza non è consapevole siano le quattro nobili verità o causa ed effetto karmici, l'inconsapevolezza non è una negazione di nessuna di queste ma è un fenomeno di negazione in cui l'oggetto negato è la conoscenza corretta di queste verità. L'inconsapevolezza è una non conoscenza corretta di queste verità.
Ci sono due modi in cui l'inconsapevolezza può essere una non conoscenza corretta delle quattro nobili verità o di causa ed effetto karmici. Entrambi sono tipi di consapevolezza di esse che ostacolano e impediscono di conoscerle correttamente. Secondo le scuole Vaibhashika (sanscr. Vaibhāṣika) e Sautrantika, come descritto da Vasubandhu, e Cittamatra, come descritto da Asanga (sanscr. Asaṅga), l'inconsapevolezza è un'anti-conoscenza di esse – una chiusura mentale che è un blocco che acceca la mente dalla loro corretta conoscenza perché non mette in discussione la disinformazione su di esse. Secondo Sautrantika e Cittamatra, come affermato da Dharmakirti (sanscr. Dharmakīrti) e secondo Madhyamaka (sanscr. Mādhyamaka), l'inconsapevolezza è una conoscenza errata di esse. Anch'essa impedisce alla mente di conoscerli correttamente, ma lo fa utilizzando una logica errata per metterlo in discussione, il che porta a una conoscenza errata.
Penso che possiamo applicare questi due tipi di inconsapevolezza anche alla non-staticità. Quando ci guardiamo allo specchio, ad esempio, potremmo non sapere che il nostro corpo è non-statico e che invecchia in ogni istante. Potremmo vedere delle rughe sotto gli occhi e, con l'anti-conoscenza, non chiederci cosa significhino, oppure, con la conoscenza errata, pensare che indichino solo che siamo stanchi. In nessuno dei due casi stiamo negando la staticità, il che richiederebbe di sapere cosa sia. L'inconsapevolezza o l'ignoranza sono solo una negazione della corretta conoscenza di qualcosa.
Queste scuole hanno le proprie definizioni di ciò che considerano vera esistenza.
Corretto.
E tutti la negano.
No, non negano tutti la vera esistenza. In primo luogo, ognuno la definisce in modo diverso e, a parte quella Madhyamaka, le altre accettano la vera esistenza nel senso di "reale". Vaibhashika afferma che tutti i fenomeni hanno vera esistenza, mentre sia Sautrantika sia Cittamatra affermano che alcuni tipi di fenomeni hanno vera esistenza e altri no. Le due scuole Madhyamaka, Svatantrika e Prasanghika, affermano entrambe che nulla ha vera esistenza.
La meditazione sulla vacuità della persona nel sistema hinanyana Sautrantika
Per comprendere appieno il processo buddhista di liberazione dalla sofferenza, dobbiamo ripercorrere il contesto che abbiamo trattato negli anni precedenti in merito alle scuole filosofiche, perché questo rende le cose un po' più chiare. Ricordate che abbiamo discusso di fenomeni conoscibili autosufficienti e fenomeni conoscibili imputati? I fenomeni conoscibili autosufficienti possono essere conosciuti senza che tale cognizione debba far apparire qualcos'altro contemporaneamente. I fenomeni conoscibili imputati possono essere conosciuti solo con la cognizione che fa apparire qualcos'altro contemporaneamente.
Il sistema Sautrantika, che è uno dei sistemi filosofici hinayana, afferma che le forme dei fenomeni fisici e i modi di essere consapevoli di qualcosa sono autosufficienti. I fenomeni non statici che non sono nessuno di questi due, ad esempio le persone, sono conoscibili imputati. Possono essere conosciuti solo quando la coscienza fa apparire anche gli aggregati su cui sono imputati. Allo stesso modo, tutti i fenomeni statici sono similmente conoscibili imputati. L'assenza di qualcuno da una stanza può essere conosciuta solo con l'apparenza di una stanza, e similmente, l'assenza di un "sé" o di una " persona " monolitica e statica, separata dagli aggregati, può essere conosciuta solo sulla base dell'apparenza degli aggregati. Sautrantika afferma che devono apparire contemporaneamente, simultaneamente.
Il Mahayana (sanscr. Mahāyāna) approfondisce questo aspetto e asserisce che l'affermazione sautrantika è vera per i fenomeni non statici che non sono né modi di essere consapevoli di qualcosa né forme di fenomeni fisici, come le persone, e per i fenomeni statici diversi dalla vacuità. Tuttavia, per la vacuità, che si tratti di quella della persona o dei fenomeni, la base della vacuità non appare simultaneamente alla vacuità stessa, deve apparire un attimo prima.
A causa di questa differenza varia il modo in cui meditiamo sulla vacuità della persona. Sto usando il termine "vacuità della persona" come scorciatoia per descrivere ciò su cui si medita nei sistemi hinayana, come Sautrantika, piuttosto che dire "la mancanza di una 'persona' monolitica e statica, separata dagli aggregati". Per i sautrantika, così come nei sistemi mahayana di Cittamatra e Madhyamaka, la vacuità qui è una negazione non implicativa, "nessuna cosa del genere".
Nel sistema Sautrantika, durante l'assorbimento totale non concettuale sulla vacuità di una persona, la persona e gli aggregati appaiono e sono entrambi esplicitamente conosciuti simultaneamente, mentre la vacuità dell'impossibile modo di esistere di quella persona è implicitamente conosciuta e non appare. Nei sistemi Cittamatra e Madhyamaka è simile alla descrizione Sautrantika sia nella fase di preparazione prima di entrare nell'assorbimento totale non concettuale sulla vacuità di una persona, sia nella fase di ottenimento susseguente. Ma durante la fase di assorbimento totale, sia concettuale che non concettuale, solo la vacuità viene percepita.
Contrasto con il sistema Prasanghika del mahayana
Questo è, ovviamente, molto diverso da ciò che ho descritto ieri, che è fondamentalmente la presentazione mahayana. Stavo parlando più in particolare della presentazione prasanghika, ma è vero per tutti i sistemi mahayana che, nel momento precedente l'assorbimento totale nella vacuità, appare la base della vacuità; tuttavia, al momento dell'assorbimento totale, la vacuità stessa è conosciuta esplicitamente e appare esplicitamente, e nulla è conosciuto implicitamente. Quando questa cognizione della vacuità è concettuale, allora, sebbene la base della vacuità possa apparire qui, tuttavia non appare e non è conosciuta da quella stessa cognizione della vacuità. O appare ed è conosciuta da una cognizione separata che avviene nello stesso momento secondo la spiegazione del Pancen, oppure è conosciuta da una cognizione subliminale, che avviene anch'essa nello stesso momento ed è anch'essa una cognizione diversa. Tuttavia, la cognizione della vacuità, in sé, non comprende la base della vacuità, né esplicitamente né implicitamente.
Nei sistemi mahayana, quando parliamo di come riconoscere negazioni statiche non implicative, come l'assenza di qualcuno nella stanza, allora l'analisi sautrantika è valida. Cosa significa? Significa che una negazione non implicativa, quando il suono delle parole con cui viene espressa ha negato l'oggetto da negare, non implica né lascia dietro di sé alcun fenomeno di affermazione conoscibile dalla cognizione concettuale anche se un fenomeno di affermazione può apparire a quella mente che conosce quella negazione non implicativa.
Vediamo un esempio. Quando pensiamo "Renata è assente", stiamo pensando a una Renata che è assente. Questa è una negazione implicativa. Ciò che appare a quella cognizione concettuale è Renata, e potrebbe essere un'immagine visiva di Renata o semplicemente il suono del suo nome, e ciò che è implicitamente noto in quella cognizione è la sua assenza; l'assenza in realtà non appare. Ciò che abbiamo negato è la sua presenza. Potremmo anche pensare a una "stanza senza Renata". "Stanza senza Renata" sarebbe anche una negazione implicativa. Ciò che il suono di quelle parole lascia dietro di sé è il fenomeno affermativo, la stanza, ed è ciò che appare esplicitamente. Il fenomeno di negazione, l'assenza di Renata, è noto implicitamente; in realtà non appare, e l'oggetto negato qui è una Renata presente. Un'assenza di Renata dalla stanza non può effettivamente apparire perché un'assenza è un fenomeno statico, non ha forma né aspetto e solo qualcosa che ha una forma può effettivamente apparire. È come quando vediamo una tazza vuota: cosa vediamo in realtà? Appaiono i lati della tazza e, implicitamente, sappiamo che non c'è niente in essa, è vuota. In realtà, questa è la posizione sautrantika. C'è una grande discussione su questo tra i cittamatra che affermano che uno spazio vuoto può apparire ed essere conosciuto esplicitamente. Anche se è un fenomeno statico – non ha forma né aspetto – può comunque essere conosciuto in modo non concettuale ed esplicito.
Tuttavia, qui parliamo di una stanza senza Renata. Ciò che appare è la stanza. Se seguiamo la spiegazione cittamatra, diremmo che appare anche uno spazio vuoto, e ciò che sappiamo implicitamente è l'assenza di Renata. Dopotutto, se vedessimo o pensassimo a una stanza senza Renata e a una stanza senza Mary, ciò che apparirebbe sarebbe esattamente lo stesso, non è vero? Una stanza e una sorta di spazio vuoto. Implicitamente, sapremmo, in un caso, che c'è un'assenza di Renata; nell'altro caso, sapremmo che c'è un'assenza di Mary. Ecco perché diciamo che questo è conosciuto implicitamente.
E quando conosciamo solo l'assenza di Renata? Questa è una negazione non implicativa. Dopo che il suono delle parole "assenza di Renata" ha negato l'oggetto da negare, ovvero la presenza di Renata, tutto ciò che lascia dietro di sé è il fenomeno di negazione "assenza di Renata". Come possiamo concentrarci su questo? Solo implicitamente, non potrebbe apparire effettivamente. Ciò che appare ed è conosciuto esplicitamente è qualcosa che rappresenta Renata, o un'immagine mentale di lei o semplicemente il nome "Renata".
Diciamo che stiamo pensando "L'assenza di Renata dalla lezione si è verificata molte volte ormai". Non possiamo pensare all'assenza di Renata senza pensare simultaneamente almeno alla parola "Renata". Questo perché l'assenza di Renata è un fenomeno statico, conoscibile imputato e quindi qualcos'altro deve essere conosciuto esplicitamente nello stesso momento in cui lo si conosce. In tal caso, ciò che è esplicitamente conosciuto e che appare è Renata, o una sua rappresentazione, o in questo caso la parola "Renata", e ciò che è conosciuto implicitamente è la sua assenza. Un'assenza o uno spazio vuoto non appaiono effettivamente. Tuttavia, l'assenza di Renata è una negazione non implicativa; non lascia dietro di sé Renata, la base della negazione. Quando il suono delle parole "assenza di Renata" ha negato la presenza di Renata, cosa lascia nella sua scia? Non lascia Renata. Rimane solo l'assenza di Renata ma, poiché l'assenza di Renata è un fenomeno conoscibile imputato, non può essere conosciuta senza che qualcos'altro appaia simultaneamente quando la conosciamo. In questo caso, sarebbe Renata o qualcosa che la rappresenti, come la parola "Renata".
La stessa analisi vale quando pensiamo: "Non c'è nessuna Renata nella stanza". Anche questa è una negazione non implicativa. Cosa lascia dietro di sé il suono delle parole "nessuna Renata nella stanza"? Non lascia alcuna affermazione di Renata né della stanza ma solo il fenomeno della negazione, "nessuna Renata nella stanza". Come lo vediamo? In altre parole, cosa vediamo? Vediamo la stanza e anche uno spazio vuoto al suo interno, e questi sono conosciuti esplicitamente; implicitamente, conosciamo l'assenza di Renata nella stanza. Questo anche perché questa assenza di Renata dalla stanza è un fenomeno statico ed è conoscibile solo in modo imputabile.
So che tutto questo è davvero complicato e potremmo chiederci perché stiamo entrando così tanto nei dettagli. Che differenza fa davvero? Fa la differenza nel modo in cui meditiamo sulla vacuità; dopotutto, vogliamo essere in grado di meditare correttamente per superare la nostra sofferenza e poter beneficiare gli altri, il più possibile, raggiungendo l'illuminazione. Riprendiamo l'argomento, ma questa volta limitiamoci a discutere su come ci concentriamo sulla vacuità come negazione non implicativa.
Come concentrarsi sulla vacuità come negazione non implicativa
Innanzitutto, consideriamolo nel modello sautrantika. Pensiamo a una persona, diciamo "me". Pensiamo prima al mio corpo, per esempio, o al mio nome, o qualcosa del genere. Su questa base, poi pensiamo anche a "me". "Me", dopotutto, una persona, è qualcosa che è conoscibile solo in modo imputato. Ciò significa che può essere conosciuto solo in relazione a qualcos'altro. Dobbiamo far apparire qualcos'altro che deve essere conosciuto esplicitamente allo stesso tempo per pensare "me". Deve essere il nostro corpo, la nostra mente, il nostro nome, o qualcosa del genere. In ogni caso, stiamo pensando a "me" sulla base di un nome e, a causa dell'influenza di qualche dottrina, crediamo che "me" sia un'entità statica e monolitica che può esistere separatamente dagli aggregati.
Ciò che vogliamo confutare qui è "un 'io' statico, monolitico e separato". Questo è ciò che deve essere negato. In definitiva, ciò su cui vogliamo concentrarci è "non esiste un 'io' statico, monolitico e separato". Questa è una negazione non implicativa. Dopo aver negato un 'io' statico, monolitico e separato, tutto ciò che ci rimane è l'assenza di un 'io' statico, monolitico e separato.
Secondo i sautrantika, per poterci concentrare su quell'assenza, su quel "niente del genere", dobbiamo aver manifestato esplicitamente l'"io" e, naturalmente, la base dell'"io" - gli aggregati, un nome o qualcosa del genere. Ma ciò su cui ci stiamo realmente concentrando qui è questa assenza, questo "niente del genere", o vacuità (se vogliamo dirlo in termini semplici), che conosciamo solo implicitamente con la consapevolezza riflessiva (rang-rig) che accompagna la cognizione. La consapevolezza riflessiva, accettata solo dai sistemi Sautrantika e Cittamatra, accompagna tutte le cognizioni ed è consapevole della coscienza e dei fattori mentali nelle cognizioni, ma non dei loro oggetti focali. Qui, tuttavia, la consapevolezza riflessiva si concentra concettualmente sul "niente del genere", poiché quell'assenza non sta apparendo. Mentre ci concentriamo sul "non esiste niente come questo 'io' statico, monolitico e separato", ciò che appare è un "io", ma non è questo il nostro obiettivo principale; ci stiamo concentrando sul "non esiste niente". Ecco, questo è l'assorbimento totale. In realtà è più complicato di quanto ho appena spiegato, ma questa è la struttura di base.
Successivamente, ci concentriamo su un "me" che non esiste come un "me" statico, monolitico e separato. Quindi, qui, questo fenomeno di negazione è una negazione implicativa, e il nostro focus principale è su questo "me", il fenomeno di affermazione che viene lanciato sulla scia della negazione. Il nostro focus principale è su "me" e implicitamente su come esiste – non è un "me" statico, monolitico e separato. Il focus principale, quindi, durante l'assorbimento totale e durante la successiva realizzazione è piuttosto diverso. Durante l'assorbimento totale il focus principale è sull'apprendimento implicito e durante la cognizione susseguente sull'apprendimento esplicito. Poiché il tipo di fenomeno di negazione è diverso nei due, il "me" che viene appreso esplicitamente durante l'assorbimento totale non è un fenomeno di affermazione lanciato sulla scia della negazione, mentre lo è durante la realizzazione susseguente.
Se consideriamo il metodo di meditazione mahayana e, per semplicità di discussione, secondo i prasanghika, inizieremo nello stesso modo che ho appena descritto con il sistema Sautrantika. Penseremmo a "me" e a qualcosa proveniente dagli aggregati che è una base per l'imputazione di "me", come la parola "me", o il mio corpo, o la mia mente, o qualsiasi altra cosa. Avremmo anche un'apparenza di vera esistenza trovabile, e ciò che negheremmo è quella vera esistenza riscontrabile, che non esiste una tale cosa sulla base del "me". Una volta che la nostra certezza che non esiste una cosa del genere ha eliminato l'oggetto da confutare, ovvero la vera esistenza, allora ci concentriamo (concettualmente o non concettualmente) sul "nessuna cosa del genere". Questo è ciò su cui ci stiamo concentrando esplicitamente. Può essere l'apparenza di uno spazio vuoto, o qualcosa del genere pensando "non esiste nulla del genere", nel caso in cui sia concettuale, allora nient'altro appare o è conosciuto da quel pensiero. La base non è conosciuta.
Tuttavia, subliminalmente, implicitamente o tramite un'altra cognizione, a seconda della spiegazione che seguiamo, avremmo qui un'apparenza della base della vacuità, l'"io" sulla base di una sorta di aggregati. Ma quella consapevolezza della base della vacuità che abbiamo in quel momento è simile a quando siamo seduti totalmente assorti ad ascoltare musica; è il tipo di consapevolezza dei nostri vestiti a contatto con la pelle, o del muro di fronte a noi. In altre parole, è molto minima, non siamo realmente consapevoli di queste cose, sebbene appaiano alla nostra coscienza subliminale o a quest'altra cognizione sensoriale. Ciò è molto diverso dall'assorbimento totale dei sautrantika, quando la mente effettivamente crea un'apparenza della base della vacuità e, allo stesso tempo, conosce implicitamente con consapevolezza riflessiva che "non esiste una cosa come il modo impossibile di esistere che sto confutando".
Sebbene nella pratica meditativa sautrantika la base dell'imputazione non sia il fulcro principale, bensì "non esiste nulla del genere" – è il fenomeno di negazione conosciuto implicitamente – questa base è però molto più evidente rispetto alla pratica meditativa mahayana. Quanto al modo in cui meditiamo effettivamente durante l’ottenimento susseguente, è lo stesso nel Mahayana come nel Sautrantika. Forse questo è un po' più chiaro.
Ho usato l'esempio del focalizzarsi sull'assenza di Renata nella stanza solo per illustrare come potremmo far apparire qualcosa contemporaneamente a quando ci concentriamo su una negazione non implicativa. Quella cosa che appare, il fenomeno dell'affermazione, non viene tuttavia lasciata sulla scia della negazione quando la negazione ha confutato l'oggetto da negare.
Ulteriori chiarimenti sulle negazioni implicative e non implicative
Potresti spiegare un po' meglio la differenza tra negazione implicativa e negazione non implicativa? Non è ancora del tutto chiaro.
La differenza sta nel modo in cui viene formulata la negazione. Una negazione non implicativa è fondamentalmente "non c'è...", mentre una implicativa è qualcosa come "questo non è quello" o "questo senza quello". Quando ci concentriamo sulla vacuità, è "non c'è". Non è in termini di "non c'è qualcosa che potrebbe essere qui, ma non è qui ora". L'attenzione è su "non esiste una cosa come...". Inoltre, ci sono due tipi di negazioni non implicative, differenziate a seconda che l'oggetto da confutare sia esistente o inesistente. Quindi, anche all'interno dell'inesistente, ciò che è inesistente può essere un oggetto come le corna di coniglio o un modo di esistere. Nel caso della vacuità, l'oggetto negato con una negazione non implicativa è un modo impossibile di esistere.
"Non c'è X" è una negazione non implicativa, mentre sia "X senza Y" che "X non è Y" sono negazioni implicative. Con "non c'è X", non importa quanto sia lunga una frase che definisce X – "Renata nella stanza" o qualsiasi altra cosa – ma sostanzialmente sta dicendo "non c'è X", qualunque sia l'espressione. Questa è non implicativa. Nell'altra, in quella implicativa, stiamo dicendo una "Y senza X" o una "Y che non è X", quindi è un diverso tipo di negazione di X nell'espressione, nella formula che scriviamo, come una formula algebrica.
Ora è più chiaro. In un'implicazione, hai due variabili.
In una negazione implicativa, abbiamo due tipi di variabili: abbiamo Y e X nell'espressione: un'affermazione e una negazione. In una non implicativa, abbiamo solo una variabile, una X. "Non c'è nessuna X". Quella X potrebbe essere una lunga espressione tra parentesi. Non importa. Quella è la nostra X qui.
Una implicativa è, ad esempio, un sé che non esiste realmente.
Corretto. Un sé che non esiste veramente. Che non esista un sé veramente esistente, non è implicita.
L'impossibile modo di esistere negato dalla vacuità nei vari sistemi filosofici buddhisti
Cosa stiamo negando con la meditazione sulla vacuità in ciascuna delle scuole buddhiste? Analizziamole in base alla spiegazione ghelug.
Vaibhashika
La scuola Vaibhashika non accetta che esistano negazioni non implicative; parla solo di quelle implicative. Ciò che dobbiamo comprendere è che "la persona non è un 'sé' impossibile", questa è una negazione implicativa. Inoltre, asserisce solo un'assenza del sé grossolana della persona. Una persona non è un'entità statica, monolitica, indipendente. Questo perché una persona è un'entità non statica, dipendente, imputata, cioè legata, ai cinque aggregati e quindi dotata di parti. Ciononostante, asserisce che è conoscibile autosufficiente. Può essere conosciuta senza che nessuno degli aggregati a cui è legata appaia simultaneamente nella cognizione.
Sebbene la scuola Vaibhashika affermi che gli aggregati non esistono come proprietà di una persona statica, monolitica e indipendente, non afferma l'assenza di un sé nei fenomeni. Cosa intendiamo riguardo ai fenomeni nel Vaibhashika? Comprendiamo che ci sono due tipi di fenomeni veri, due verità. I fenomeni superficialmente veri, come il corpo, hanno parti. Essi nascondono fenomeni profondamente veri che non hanno parti, come le particelle senza parti che compongono il corpo.
Sautrantika
Questa scuola accetta le negazioni non implicative. L'assenza del sé grossolana della persona è che non esiste un sé o una persona che sia un'entità statica, monolitica e indipendente. Ammette anche un'assenza del sé sottile della persona, che è anch'essa una negazione non implicativa: non esiste una persona non statica, con esistenza dipendente, legata ai cinque aggregati e quindi dotata di parti e che può essere conosciuta senza che uno di quegli aggregati appaia e sia conosciuto simultaneamente nella cognizione.
Come i vaibhashika, i sautrantika non affermano l'assenza del sé o la vacuità di tutti i fenomeni e che le due verità si riferiscono a due insiemi di fenomeni. I due insiemi nel Vaibhashika non sono l'insieme dei fenomeni statici e quello dei fenomeni non statici, bensì l'insieme dei fenomeni aventi parti e l'insieme dei fenomeni senza parti. L'insieme dei fenomeni aventi parti include solo i fenomeni non statici, ma l'insieme dei fenomeni senza parti include sia i fenomeni non statici come le particelle, sia quelli statici come l'assenza di un sé delle persone. Tutti i fenomeni, statici o non statici, hanno una vera esistenza o, più precisamente, un'esistenza veramente stabilita. La loro esistenza è veramente stabilita dal fatto che tutti svolgono delle funzioni – come minimo, la funzione di servire da oggetto di una loro cognizione.
Per i sautrantika, i due insiemi di fenomeni sono l'insieme delle entità oggettive (rang-mtshan), che include solo fenomeni non statici, e le entità metafisiche, che includono solo fenomeni statici come le categorie. Secondo i libri di testo di Jetsunpa, solo le entità oggettive hanno un'esistenza veramente stabilita perché solo loro possono svolgere una funzione. Solo loro sono "reali". Le entità metafisiche (spyi-mtshan) come le categorie non sono veramente esistenti, dove "non veramente esistente" è una negazione implicita che porta con sé il fenomeno dell'affermazione "falsamente esistente". I fenomeni metafisici sono "irreali", ma solo nel senso che si verificano solo nelle cognizioni concettuali. Inoltre, sono riscontrabili nelle cognizioni concettuali e, lì, la loro esistenza è stabilita dal loro lato. I libri di testo di Pancen definiscono l'esistenza veramente stabilita come stabilita dal lato dell'oggetto. Pertanto, affermano che sia le entità oggettive che quelle metafisiche hanno un'esistenza veramente stabilita.
Cittamatra
Solo con il Cittamatra, che è mahayana, si afferma l'assenza del sé o vacuità di tutti i fenomeni, ed è esclusivamente una negazione non implicativa. Afferma che per raggiungere la liberazione dobbiamo comprendere semplicemente la negazione non implicativa, ovvero l'assenza del sé delle persone, proprio come afferma il Sautrantika. Tuttavia, per raggiungere l'illuminazione e diventare un Buddha, dobbiamo anche comprendere la negazione non implicativa, ovvero l'assenza del sé dei fenomeni.
L'assenza del sé o vacuità dei fenomeni - una negazione non implicativa - si riferisce ai fenomeni non statici, chiamati "fenomeni dipendenti" (gzhan-dbang, alimentati da altri) nel Cittamatra. La loro vacuità grossolana si applica quando sono oggetti di cognizione sensoriale; la loro vacuità sottile si applica quando sono oggetti di cognizione concettuale. Quando sono oggetti di cognizione sensoriale, la loro esistenza è priva dell’essere stabilita come proveniente da una fonte natale diversa da quella da cui provengono i modi di esserne consapevoli in quella cognizione. Non esiste una cosa del genere. Il fenomeno dipendente e i modi di esserne consapevoli provengono entrambi dalla stessa fonte natale, una tendenza karmica o un seme sulla coscienza di base, l'alayavijñana (sanscr. ālaya-vijñāna).
Quando i fenomeni dipendenti sono oggetti di oggetti concettuali, sebbene abbiano caratteristiche individuali che li definiscono come fenomeni validamente conoscibili, sono privi di caratteristiche individuali che possano servire da base per attribuire loro nomi o attributi. Questa è la sottile mancanza di sé o vacuità dei fenomeni. Non esistono cose del genere. Nomi come Alex, Alexander e Dott. Berzin e attributi come giovane o vecchio vengono semplicemente attribuiti a una persona quando ci si pensa. Attribuito, qui, significa proiettato e legato al fenomeno. Non c'è alcuna caratteristica che definisca "Alex" o "vecchio" da parte della persona che, quando ci si pensa, la stabilisca come "Alex" o "vecchio" in congiunzione con quei nomi e attributi attribuiti.
Oltre ai fenomeni dipendenti, ci sono fenomeni totalmente concettuali (kun-brtags) (tutti i fenomeni statici diversi dalla vacuità, come le categorie, così come i fenomeni inesistenti come l'esistenza stabilita esternamente) e fenomeni completamente stabiliti (yongs-grub) (la vacuità). Ognuno di questi tre tipi di fenomeni ha una specifica mancanza di natura essenziale (ngo-bo-nyid med-pa). Queste mancanze di natura essenziale sono negazioni implicative, negano che questo tipo di fenomeno sia come uno degli altri tipi riguardo a una certa caratteristica.
Ad esempio, sia i fenomeni dipendenti che quelli completamente stabiliti sono veramente esistenti. I fenomeni veramente esistenti nel sistema Cittamatra sono fenomeni ultimi, ovvero fenomeni che appaiono a un arya (sanscr. ārya). Quando un arya sta per entrare nell'assorbimento totale nella vacuità, prima deve apparirgli un fenomeno dipendente come base della vacuità, e poi appare solo la vacuità. Ma i fenomeni dipendenti mancano di una natura essenziale di esistenza come quelli completamente stabiliti perché sorgono da cause e condizioni, mentre quelli completamente stabiliti, essendo fenomeni statici, non sorgono da cause e condizioni.
I fenomeni totalmente concettuali, come le categorie, sono privi di una natura essenziale di esistenza come fenomeni ultimi, come invece lo sono i fenomeni dipendenti e quelli completamente stabiliti. I fenomeni dipendenti e quelli completamente stabiliti presentano sui loro lati segni caratteristici definitori individuali che li stabiliscono come fenomeni ultimi e come realmente esistenti. Sebbene i fenomeni totalmente concettuali presentino segni caratteristici definitori che li stabiliscono come fenomeni individuali validamente conoscibili, mancano dei segni caratteristici definitori che li stabiliscono come fenomeni ultimi e realmente esistenti. Sono semplicemente esistenti in modo imputato.
I fenomeni completamente stabiliti, vale a dire le vacuità, mancano della natura essenziale dell'esistenza come ultima, come i fenomeni dipendenti, nel senso che a differenza di questi ultimi, non derivano da cause e condizioni.
Il sistema Cittamatra è molto diverso dal Sautrantika ove categorie e vacuità sono entrambe entità metafisiche, statiche e prive di vera esistenza perché non funzionali. Nel Cittamatra, sebbene categorie e vacuità siano entrambi fenomeni statici, le categorie sono prive di vera esistenza mentre le vacuità sono realmente esistenti, perché il Cittamatra considera i fenomeni realmente esistenti come fenomeni ultimi.
Svatantrika
Afferma che non solo i fenomeni totalmente concettuali sono esistenti imputati, come afferma il Cittamatra, ma tutti i fenomeni sono esistenti imputati. La loro esistenza è stabilita dal fatto che sono oggetti di riferimento di parole e concetti etichettati mentalmente su una base per l'etichettatura, in congiunzione con un segno caratteristico definitorio reperibile sul lato della base. La vacuità di tutti i fenomeni è la loro mancanza di vera esistenza, e questa è una negazione non implicativa.
Per gli svatantrika, la vera esistenza è l'esistenza stabilita in modo non imputato o tramite una mera etichettatura concettuale, e non in congiunzione con un segno caratteristico definitorio reperibile sul lato della base. A differenza di Cittamatra, Vaibhashika e Sautrantika, non esiste nulla che abbia una vera esistenza, perché non esiste un'esistenza veramente stabilita. Quanto all'assenza di sé delle persone, Svatantrika la afferma allo stesso modo di Cittamatra e Sautrantika.
Afferma inoltre che tutti i fenomeni hanno un'esistenza auto stabilita (rang-bzhin-gyis grub-pa), traducibile anche come esistenza intrinseca. Questa è un'esistenza stabilita da una natura auto stabilita (rang-bzhin) da parte di un oggetto che li rende rintracciabili come la "cosa" referente che corrisponde alle parole e ai concetti per loro. Le "cose" referenti (btags-don) non sono reali, ma sono supporti focali immaginari (dmigs-rten) che sostengono gli oggetti referenti (btags-chos) di parole e concetti.
Prasanghika
Qual è l'oggetto da negare e la base della negazione per i prasanghika? L'esistenza auto stabilita, che per loro equivale alla vera esistenza, e la sua base è costituita da tutti i fenomeni. Questa è l'assenza del sé sia delle persone che di tutti i fenomeni. Negano anche, con una negazione non implicativa, un segno caratteristico definitorio reperibile sul lato della base per l'etichettatura che, in combinazione con l'etichettatura concettuale, stabilisce l'esistenza dei fenomeni. Affermano che l'esistenza convenzionale di tutti i fenomeni è stabilita semplicemente dall'etichettatura concettuale.
Svatantrika afferma che tutti i fenomeni hanno un'esistenza imputata e che sono tutti riscontrabili. Hanno tutti un'esistenza autostabilita. Prasanghika confuta che i fenomeni imputati siano riscontrabili, non semplicemente che tutti i fenomeni siano riscontrabili. Ecco perché è così importante comprendere le varie scuole filosofiche, perché altrimenti non identifichiamo chiaramente l'oggetto e la base della negazione. Ciò che pensiamo sia riscontrabile, gli oggetti imputati, sono privi di riscontrabilità. Ora, cosa ci rimane? Che sono semplicemente imputati. Questa è l'origine interdipendente. Sono solo imputati senza essere riscontrabili.
Secondo i prasanghika ghelug, non c'è nulla di riscontrabile da parte di qualsiasi oggetto o fenomeno che abbia il potere, da solo o in combinazione con una parola concettualmente etichettata su di esso, di stabilire che esiste. L'unica cosa che può stabilire che esiste è che sia l'oggetto di riferimento a cui si riferiscono parole e concetti concettualmente etichettati su di esso. Ma non c'è alcuna "cosa" di riferimento dietro quell'oggetto di riferimento che lo sostenga, per così dire.
Madhyamaka non ghelug
Le scuole Madhyamaka non-Ghelug confutano questa tesi. Affermano che, poiché gli oggetti di riferimento dell'etichettatura concettuale sono puramente concettuali e sembrano avere un'esistenza non imputata, sono irreali. Gli oggetti convenzionali non sono semplicemente come un'illusione, sono un'illusione e, in effetti, come dice letteralmente il Sutra del cuore: "Non ci sono occhi, né orecchie, ecc.". Proprio come le scuole Ghelug affermano che tutti i fenomeni condizionati sorgono e funzionano in modo dipendente sulla base della mera etichettatura concettuale, le scuole non Ghelug affermano che l'origine interdipendente e la causa ed effetto karmici funzionano sulla base dell'assenza di oggetti convenzionali.
I non ghelugpa sostengono poi che la visione prasanghika ghelugpa, nell'asserire oggetti referenti di etichettatura concettuale, cade nell'estremo dell'assolutismo, sebbene questi oggetti referenti siano introvabili. Per raggiungere la cognizione non concettuale della vacuità è necessario andare oltre l'etichettatura concettuale e oltre l'esistenza stabilita semplicemente dall'etichettatura concettuale. È persino necessario andare oltre la confutazione logica, che è concettuale, che nega l'esistenza, la non esistenza, entrambe e nessuna delle due. I ghelugpa sostengono che la visione madhyamaka non ghelug cade nell'estremo del nichilismo. E se voi non ghelugpa affermate che la vostra affermazione è corretta perché questo è ciò che gli arya vedono nella cognizione non concettuale della vacuità, allora sembrate cittamatra.
Ogni scuola afferma che non è possibile raggiungere un vero arresto del samsara (sanscr. saṃsāra) basandosi su ciò che affermano le altre scuole, quindi i loro arya non sono veri arya. Questo è simile alla lunga discussione di Shantideva su come gli arhat shravaka (sanscr. śrāvaka) non siano realmente liberati. Devo dire che è una questione molto difficile da risolvere, ma credo che ci offra una panoramica dell'importanza dei sistemi filosofici.
Osservazioni conclusive
Ciò che ho cercato di fare in questi seminari del fine settimana sulla vacuità è sottolineare che dobbiamo sempre guardare a ciò che rimane dopo la negazione, perché questo diventa la base per la confutazione del livello successivo. Dopo aver confutato e negato un certo livello di un modo di esistere impossibile in riferimento a un oggetto, ad esempio il sé della persona, dobbiamo vedere cosa rimane ancora di quella persona. Se c'è qualcosa di impossibile che rimane, allora non abbiamo tolto abbastanza, quindi dobbiamo negare e togliere ancora di più.
Il problema è sapere quando abbiamo tolto abbastanza. I ghelugpa accusano i non ghelugpa di negare eccessivamente. Hanno tolto tutto e non rimane più alcun sé. I prasanghika ghelug affermano che le cose esistono come ciò a cui si riferiscono parole e concetti, tutto qui. Riesci a trovare ciò a cui si riferiscono le parole e i concetti per loro? No. C'è qualcosa di rintracciabile che le sostiene? No. Tutto ciò che puoi dire è che sono ciò a cui si riferiscono le parole per loro. Ciò non significa che tu possa conoscerle solo attraverso parole e concetti. Accontentati di questo e non perderti in qualche regno mistico. Torna semplicemente alla posizione pratica dei ghelugpa di aiutare le persone. Quindi i non ghelugpa sostengono che l'aiuto che dai alle persone funziona solo sulla base del fatto che non ci sono persone; tu semplicemente aiuti.
In sintesi, spero che questo materiale chiarisca quanto sia importante comprendere questi fenomeni di negazione, perché è con questa comprensione che otteniamo effettivamente la liberazione e l'illuminazione, e perché la vacuità è un fenomeno di negazione e quasi tutte le realizzazioni che otteniamo sul sentiero sono anch'esse fenomeni di negazione. Abbiamo solo iniziato ad affrontare l'argomento, c'è molto altro da dire ma spero che questo fine settimana introduttivo vi dia un incentivo ad approfondire sempre di più l'argomento dei fenomeni di negazione.