Categorie e negazioni implicative e non implicative

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Stamattina Ulla ha sollevato una domanda interessante su cui ho riflettuto: come facciamo a riconoscere una doppia negazione? Stavamo parlando in termini di specificatori (ldog-pa). Come facciamo a sapere che qualcosa non è altro che se stessa? Se vogliamo conoscere la negazione di "non Alex", dobbiamo conoscere tutto ciò che non è Alex? No, non credo, perché per conoscere "non Alex" dobbiamo conoscere Alex. Ora, conoscendo Alex, conosciamo "non Alex", quindi per conoscere "non non Alex" bisogna conoscere l'Alex originale che viene negato. Per conoscere "non una mela", dobbiamo sapere cos'è una mela. Quindi, per conoscere "nient'altro che una mela", bisogna conoscere la mela. In altre parole, per specificare qualcosa, in realtà, va conosciuta la cosa stessa altrimenti è impossibile, ma questa è la mia ipotesi, solo il mio modo di pensare. 

    Ma questa è un'affermazione o una doppia negazione? 

No, questa è una negazione. Si basa sulla negazione originaria del conoscere Alex. Non importa quante volte neghiamo ulteriormente questa cosa, credo. Questa è la mia ipotesi. È così che specifichiamo qualcosa. È a questo che serve, come specifichiamo le categorie e come specifichiamo gli oggetti; sono due tipi diversi. Altrimenti, un bambino non potrebbe imparare cos'è una mela. Vale lo stesso per le categorie. Il bambino deve conoscere tutte le possibilità di cosa sia una mela, ma non è obbligato a conoscere tutte le possibilità di cosa non lo sia. Dovremmo sapere che esiste una cosa come "non una mela". 

   Può essere utilizzato nell'intelligenza artificiale? 

Riconoscere qualcosa come categorie e questo tipo di cose potrebbe essere molto difficile per l'intelligenza artificiale. 

    Si potrebbe discutere se una categoria sia soggetta a cambiamenti nel tempo. 

Una categoria è soggetta a cambiamenti? Potremmo sostituirla con una definizione diversa, ma la sostituzione... 

    Non intendo non statico. Certo, una categoria è statica. 

Una categoria è statica, e qui abbiamo un buon esempio di ciò che vi stavo spiegando, una separazione (bral-ba). Separandola dal vecchio significato, ne creiamo uno nuovo. Come se sostituissimo la nostra comprensione meno precisa di "non vera esistenza" con una comprensione più precisa di "non vera esistenza". 

Ricordate che le categorie sono definite in termini di parole o concetti, e questo significa che una categoria – o parliamo in termini di categorie definite da parole – non ha in sé, dal suo punto di vista, un significato intrinseco. Il significato di qualsiasi parola (e quindi di qualsiasi categoria) è qualcosa che viene etichettato mentalmente da una mente che pensa con essa e la usa. Il pensiero concettuale usa le categorie per potersi concentrare sui singoli elementi che includerebbe in quella categoria. Ad esempio, pensiamo concettualmente a una particolare mela della categoria "mela". 

Consideriamo il caso della categoria "vera esistenza". Il significato del termine "vera esistenza", e quindi il significato di quella categoria, è qualcosa che le viene attribuito o etichettato mentalmente, concettualmente, da una mente che ne abbia una qualche comprensione. Quella mente usa qualsiasi comprensione abbia di ciò che ritiene essere la vera esistenza e la etichetta mentalmente come il significato di "vera esistenza". Ora, non importa quanti significati diversi le diverse menti attribuiscano al termine "vera esistenza", o persino quanti la stessa mente attribuisca a "vera esistenza" durante il suo sviluppo lungo il cammino spirituale, quella categoria in sé – "vera esistenza", quella parola – non cambia. Il fatto che abbia un significato diverso, a seconda delle diverse menti che la usano, e così via, non è qualcosa che cambia organicamente, momento per momento, influenzato da cause e condizioni. 

Un significato può essere sostituito da un altro significato etichettato mentalmente, ma questo è un processo molto diverso dalla fine della nostra comprensione e dal suo successivo cambiamento in un'altra comprensione. Questa evoluzione della nostra comprensione è un processo organico; non è statico ed è influenzato da cause e condizioni. Quando una comprensione finisce e ne sorge un'altra, si tratta di un processo non statico, qualcosa che cambia e si sviluppa, momento per momento. Tuttavia, quando una categoria stessa viene separata da un significato e le viene attribuito un altro significato, questa separazione non è qualcosa che cresce di momento in momento e si sviluppa nel tempo. È solo una "separazione statica", la chiameremmo. Si verifica nel caso in cui alla categoria o alla parola venga attribuito mentalmente un significato diverso. Questa separazione è semplicemente un fatto, e i fatti sono cose statiche, non influenzati da cause e condizioni. 

Ricordate, separazione si riferisce allo stato di essere separati e non all'azione di separare qualcosa. Uno stato di essere separati da qualcosa è un fenomeno statico. Un'azione di separazione effettiva è, ovviamente, non statica; nasce da cause e condizioni. Lo stato di essere separati – sebbene sia causato da, o inizi con, quell'azione di separazione – è di per sé non statico. Non possiamo dire, tecnicamente, che sia causato organicamente da quell'azione di separazione. Ad esempio, lo stato di una mela separata dal tavolo, o assente dal tavolo, è qualcosa che non cambia di momento in momento: è causato da qualcuno che la prende, ma quello stato di essere assenti o separati dal tavolo non è qualcosa che si sviluppa lentamente, di momento in momento. 

Accumulare sempre più forza positiva, meriti per così dire, è la condizione che porterà a un cambiamento nella nostra comprensione. Tuttavia, questo non influenza l'oggetto che comprendiamo ma la mente. 

Cos’è la categoria di significato? Ogni volta che usiamo una parola, ad esempio la parola "vacuità", o ogni volta che la ricordiamo, la sentiamo dire da qualcuno o la leggiamo in un libro, la categoria di significato è ciò che pensiamo significhi. 

   Anche questo viene costantemente sostituito, non è vero? 

Tutto dipende da quanto siamo aperti mentalmente. Se siamo molto testardi e pensiamo: "Ce l'ho fatta e non voglio più sentire niente", non la sostituiremo molto in fretta. La categoria in sé, anche se non ci pensiamo per cinque anni, non muore lentamente sebbene il potere della nostra consapevolezza di essa, del ricordarla, forse si è indebolito. 

Ulteriori punti su "non Tenzin" in relazione a categorie, singoli elementi e specificatori 

Torniamo a "non Tenzin". E se il mio amico pensasse che il Tenzin a cui mi riferivo fosse un'altra persona di nome Tenzin che conosceva? Ha guardato la foto nel mio album di uno dei miei "non Tenzin" – o anche della persona che non è il mio "non Tenzin", ovvero il mio Tenzin – e ha pensato: "non Tenzin". Il concetto di "non Tenzin" che aveva in mente derivava dall'aver escluso il suo Tenzin, non il mio. 

Questo è un buon esempio, se riusciamo a seguirlo. Sto pensando al mio Tenzin e voglio mostrare al mio amico la persona nel libro. Lui sta pensando a un altro Tenzin che conosce. Mentre sfoglia il libro, cerca una foto del suo Tenzin; forse questo Tenzin è anche nel mio libro. Che guardi la foto di qualcuno che non è il mio Tenzin, o la foto di qualcuno che è il mio Tenzin (il che significa qualcuno che non è "non il mio Tenzin"), e pensi "non il suo Tenzin", è diverso, non è vero? Ciò che ha escluso per ricavare il suo "non Tenzin" è un Tenzin diverso da quello che io ho escluso per ottenere la mia idea di "non Tenzin". 

Entrambi questi "non Tenzin" appartengono alla categoria generale di "non Tenzin", ma si riferiscono a due elementi diversi. È molto importante capirlo per poter comprendere come specifichiamo elementi diversi in una categoria. Ad esempio, abbiamo la parola della categoria "non Tenzin". Ora, la persona che usa quella parola della categoria per pensare qualcosa può o meno attribuire una categoria di significato a quella categoria di nomi. Se non attribuisce o etichetta alcuna categoria di significato a quella parola della categoria, allora ciò che sta pensando con quella parola della categoria è semplicemente un fenomeno di affermazione: l'affermazione delle parole "non" e "Tenzin". Tuttavia, se mentalmente etichetta una categoria di significato su di essa, il che è una esclusione di una persona particolare, un particolare Tenzin, allora la parola della categoria a cui sta pensando e la categoria di significato che le sta attribuendo si riferiscono al fenomeno di negazione, a persone che non sono quel particolare Tenzin.

Potremmo escludere diverse persone che si chiamano Tenzin e specificare accuratamente, a partire da tale esclusione, un particolare "non Tenzin", e poi potremmo attribuirgli un'etichetta. Naturalmente, l'attribuzione di questo "non Tenzin" a diverse persone potrebbe essere accurata o meno, a seconda che quella persona sia effettivamente il "non Tenzin" che avevamo in mente. Se attribuissi il mio "non Tenzin" al tuo specifico Tenzin, allora sarebbe un'attribuzione accurata dal punto di vista dello specifico Tenzin che stavo escludendo (per derivare il mio "non Tenzin"), ma ovviamente non sarebbe un "non Tenzin" accurato dal punto di vista dello specifico Tenzin che tu stavi escludendo (per derivare il tuo "non Tenzin"). È un po' complicato. 

Dobbiamo essere molto precisi qui. Infatti, potremmo persino derivare un "non Tenzin" escludendo qualcuno che non è nemmeno Tenzin. Ma quel "non Tenzin" non sarebbe un elemento che appartiene validamente alla categoria di "non Tenzin", perché se andassimo a cercare il Tenzin che abbiamo escluso per derivare quel "non Tenzin", scopriremmo che la persona che abbiamo escluso non era un Tenzin. In altre parole, per derivare "non Tenzin", dobbiamo escludere un Tenzin specifico. Se escludiamo un Tashi per ottenere un "non-Tenzin", allora quel Tashi che abbiamo escluso non è un Tenzin, quindi non abbiamo effettivamente ottenuto un "non-Tenzin" definito accuratamente. 

Devo ammettere che questa spiegazione è molto difficile perché ci sono tante parole negative o parole di negazione nella formulazione ma, se riusciamo a comprenderla, allora potremmo iniziare a capire come vari oggetti, come i bicchieri, siano inclusi nella categoria "bicchiere". Il modo in cui funziona è in termini di specificatori (ldog-pa) che sono doppie negazioni, "nient'altro che un bicchiere". 

    In una situazione del genere, non ci sono parole sufficienti per definire ogni aspetto o fenomeno. La nostra lingua contiene solo poche parole, meno di quelle necessarie per dare un termine a ogni fenomeno. In tal caso, quando si hanno in mente due Tenzin, è necessario sviluppare un nuovo termine, ad esempio "il Tenzin di Alex" e "il Tenzin di Simone", oppure "il Tenzin dai capelli neri", oppure "il vecchio Tenzin" e "il giovane Tenzin", e così via. 

Dobbiamo inventare nuove parole o usare degli specificatori? Ci sono due Christian in questa stanza. Lo specificatore è che questo Christian non è altro che questo Christian e quel Christian non è altro che quel Christian. Quindi, lo abbiamo specificato. 

    Non hai fornito alcuna informazione! 

Ah, non abbiamo fornito alcuna informazione, ma è stato specificato che non è necessario avere un nome diverso per ogni singola mela esistente o un nome diverso per ogni singola formica esistente. 

    Ha funzionato solo perché hai indicato il Christian. Se avessi detto: "Questo Christian non è altro che questo Christian", non avrei avuto la minima idea di chi stessi parlando. 

Giusto, ma mi permetterebbe di conoscere questo particolare Christian e quell'altro particolare Christian che hanno entrambi lo stesso nome, "Christian", e di non confonderli. 

    Il punto è quando si conosce il contesto. 

Quando conosciamo il contesto, dobbiamo conoscere l'oggetto. Come lo specifichiamo? Conosco molte persone che si chiamano Tenzin; conosco molte persone che si chiamano Christian. Come faccio a distinguere tutte le persone che conosco che si chiamano Tenzin quando le chiamo con lo stesso nome? A cosa sto pensando? 

    Ha una qualità speciale. 

Questo ci porta ad un argomento importante che viene discusso nella filosofia prasanghika (sanscr. prāsaṅgika), ovvero che non c'è nulla nell'oggetto che ne rappresenti la qualità speciale, o una caratteristica definitoria che lo renda unico. Il punto è questo: non c'è nulla di riscontrabile nell’oggetto che lo stabilisca come tale, come elemento individuale. Tutto è specificato in termini di queste doppie negazioni; non è altro che ciò che è, e questo non è qualcosa nell'oggetto ma viene stabilito semplicemente dal potere dell'etichettatura mentale, che è concettuale. 

Ciò a cui stavamo pensando, quello specifico oggetto Tenzin a cui penso quando uso la parola "Tenzin", è specificato dal fatto che non è altro che questa persona. Quando uso la parola "Tenzin" per riferirmi a lui, la uso per riferirmi a lui e non a qualcun altro. È così che funziona, no? È chiaramente solo un processo di etichettatura mentale. Il fatto che abbia il nome "Tenzin" è anche solo un processo di etichettatura mentale - i suoi genitori gli hanno dato il nome "Tenzin". Non c'è nulla da parte sua che lo renda un Tenzin che possiamo trovare, che esiste prima di ricevere il nome "Tenzin". Altrimenti, come possiamo applicare la parola "mela" a tante mele diverse? 

    Potresti associare il nome a un'immagine particolare di questa persona, al suo aspetto, alla sua voce o alla sua forma fisica. 

Questo è proprio ciò che lo rappresenta perché, ovviamente, possiamo conoscere la persona quando era piccola, quando è giovane, e possiamo conoscerla anche quando è anziana. La forma è cambiata. Cosa succede quando ti vedo dopo molti anni che non ti vedo? Per esempio, vado a una riunione della classe del liceo dopo 40 anni (cosa che ho fatto), ho visto molte persone e non sapevo chi fossero. Ma poi uno di loro mi ha detto di essere "Roger", e io ho esclamato: "Oh mio Dio. Non ti ho riconosciuto!". Ma so chi è Roger. Roger non è altri che Roger, ma la forma fisica è cambiata completamente. Non avrei mai riconosciuto questa persona. 

Quindi, chi è il "Roger" a cui sto pensando? È molto interessante perché si tratta di una negazione non statica. Esistono in realtà due tipi di specificatori o isolatori, uno statico per specificare un singolo elemento in una cognizione concettuale e uno non statico per specificare un singolo elemento in una cognizione non concettuale come una cognizione sensoriale, ma questo è troppo avanzato. Dobbiamo tornare al nostro livello di discussione. 

Se l'oggetto cambia di momento in momento, qualsiasi cosa diversa dall'oggetto stesso deve cambiare di momento in momento. Altrimenti, pensiamo che il fenomeno che cambia sia sempre lo stesso. Non è statico; altrimenti, dovremmo dare un nome diverso alla persona in ogni momento della sua vita. Ora, entriamo nel vero e proprio processo di etichettatura mentale. Le caratteristiche definitorie non esistono nell'oggetto. 

Per esempio, guardo gli avanzi del pranzo sul tavolo e penso "non commestibile". Il mio amico che ha ancora fame li guarda e non applica la parola "non commestibile"; "non commestibile" è il tovagliolo di carta. Ma certamente, il cibo avanzato non è "non commestibile". "Non commestibile" è visto dal lato dell'oggetto? Certamente no. Mi seguite? 

È la stessa cosa con la parola. Il significato, sul lato della parola, è insito nella parola? Certamente no. La definizione è insita nella parola? Certamente no. Una parola è solo uno schema acustico. Quando ascoltiamo una lingua che non conosciamo non riusciamo nemmeno a scomporre i suoni in parole, in unità di significato. La questione si fa ancora più complessa: come facciamo a riconoscere la voce di qualcuno? Ascolto uno schema acustico e penso "la voce di Simone", e qualcun altro lo ascolta e non sa che è la voce di Simone; pensa che sia la voce di qualcun altro. Ci succede continuamente al telefono. C'è qualcosa in quello schema acustico che lo rende la voce di Simone, che indica chi l'ha prodotto? 

     Ci sono persone che imitano le voci degli altri. 

Giusto. Questo rientra nel tema generale della relazione tra causa ed effetto, ma mi sto allontanando molto dal tema. 

     Stavi parlando di una lingua che non conosci, di cui non riesci nemmeno a distinguere le parole. Con la lingua che è la tua lingua madre, non puoi fermarti. 

Non possiamo smettere di distinguere le parole. Esatto. Voglio dire, è molto difficile. Conosco molto bene quell'esperienza. Quando ci troviamo in un luogo in cui le persone parlano una lingua che non conosciamo, è molto facile astrarsi e non esserne affatto distratti. Ma se qualcuno parla una lingua che conosciamo, è quasi impossibile non prestargli attenzione, ascoltarlo e attribuire un significato alle parole. Tuttavia, tutto questo proviene dalla mente, non dalle parole. Come nell'esempio di chi è la voce? Come è influenzata dalla persona che ha prodotto la voce, il suono? E ora, dopo che la persona ha smesso di produrla, non la produce più, è forse Christian che non dice più questo? Dov'è quel "non parlare più"? È dentro il suono? Dentro Christian? È totalmente inesistente? No. Possiamo sapere perfettamente che Christian non sta più parlando. Queste negazioni sono molto, molto importanti per comprendere tantissime cose. 

Capite come una parola sia anche una categoria? Non importa chi la pronuncia o con che tipo di voce; è la stessa parola, una categoria sonora, statica. È davvero strano che una parola possa essere rappresentata sia da un suono che da un'immagine – una linea ondulata – e quella linea ondulata, che è totalmente arbitraria, è una parola e ha un significato a prescindere da chi la scriva. È davvero molto strano. 

È importante capire le basi, altrimenti è inutile. Vorrei che iniziaste a riflettere su tutto questo e convincervi di quanto sia importante studiare e comprenderlo davvero questo per penetrare a un livello più profondo quasi ogni aspetto degli insegnamenti buddhisti. Se anche solo ve ne andrete con un sincero interesse a proseguire con questo, allora ne sarà valsa la pena. 

Definire le cose in termini di negazioni 

Quando Nagarjuna parlava della vacuità non si esprimeva forse in termini di negazioni come, ad esempio, "non uno", "non molti", "non entrambi" e "non nessuno"? Cosa possiamo dire di questi tipi di negazioni?

Bene, questo ci porta a un argomento molto complicato, ovvero il tema della vacuità e di che tipo di fenomeno di negazione sia. Analizziamo se esista o meno una cosa come la vera esistenza: se esistesse, se avessimo due elementi veramente esistenti allora dovrebbero essere lo stesso elemento, o dovrebbero essere elementi totalmente diversi, o dovrebbero essere entrambi uguali e diversi, o nessuno dei due. Ci sono solo queste quattro possibilità, per questo la neghiamo. Diciamo che non sono né uno, né sono molti – in altre parole, né sono diversi, due elementi individuali veramente esistenti – né sono in qualche modo entrambi, né sono nessuno dei due. In questo modo, diciamo che non esiste una cosa come la vera esistenza, la neghiamo.

La confutazione "non esiste una cosa come la vera esistenza" si basa sulla convinzione che non ci siano altre possibilità. Avendole escluso tutte, l'unica conclusione a cui possiamo giungere è che non esiste una cosa del genere. Questa è la posizione della scuola Ghelug sulla vacuità. Tuttavia, altri sostengono che, in realtà, abbiamo escluso solo alcune possibilità nel regno concettuale, ma in realtà la vacuità non si riferisce semplicemente al "non esiste una cosa come questa", ma si riferisce è uno stato che è al di là di questo, al di là di queste categorie, e "al di là" è anche, in un certo senso, a un fenomeno di negazione; non è "tutto questo", ma afferma qualcosa che è al di là. Questa è una delle posizioni della "vacuità d’altro".

Questo ci porta a un argomento molto complicato, e non credo sia opportuno approfondirlo troppo qui ma forse possiamo iniziare a comprenderne la complessità. La vacuità è un fenomeno di negazione. Ora, come specifichiamo un fenomeno di negazione del "non esiste una cosa come la vera esistenza"? Proprio come quando specifichiamo un fenomeno di affermazione, come una mela, escludendo tutto ciò che non è "mela" – quindi è "nient'altro che la mela" – è un processo simile quando cerchiamo di specificare un fenomeno di negazione; è ciò che otteniamo quando escludiamo tutto ciò che non è il fenomeno di negazione. Quindi, la situazione inizia a complicarsi molto perché, specificando un fenomeno di negazione, abbiamo effettivamente ottenuto un fenomeno di affermazione o un fenomeno di negazione? Come ho detto, la questione è incredibilmente complicata, quindi la lasceremo per ora. È vero che il Buddhismo spiega il modo in cui le cose esistono in termini di negazione di modi impossibili di esistere in cui le cose non esistono. 

     Se vuoi spiegare qualcosa di molto difficile, è più facile capirlo con le negazioni piuttosto che con le affermazioni? 

In un certo senso, sì. È più facile comprendere qualcosa in termini di negazioni piuttosto che di affermazioni. Credo che lo avessimo già nelle Upanishad, prima del Buddha, con "Niti, niti. Non questo, non quello".

    Nel linguaggio, spesso si ha la possibilità di scegliere se usare una negazione o un'affermazione. Se il Buddha dice: "Sano non è l'odio", non dice: "Sano è l'amore". Dice: "Non l'odio". Aveva la possibilità di usare la parola "amore" come opposto.

Giusto. Questa era la mia introduzione stamattina, il motivo per cui ho detto che nel Buddhismo quasi tutto è specificato in termini di negazioni. 

    Era quindi convinto che esprimendo i suoi insegnamenti tramite negazioni si potesse garantire che l'allievo ne comprendesse il significato? 

Esatto. Quando consideriamo come Buddha ha presentato i suoi insegnamenti sulle quattro nobili verità notiamo che ha posto l'accento principale sulla negazione dei fenomeni. Abbiamo le prime due nobili verità: la vera sofferenza e le vere cause della sofferenza. Quando le osserviamo più da vicino, in termini di vera sofferenza, c'è la sofferenza della sofferenza grossolana, una sensazione da cui, quando si verifica, vogliamo separarci; non vogliamo che continui, quindi c'è una negazione. Quando parliamo della sofferenza del cambiamento, questa è la nostra felicità ordinaria, ma come viene descritta? Come una sensazione che non dura, che non porta soddisfazione, di cui non c'è certezza su cosa le succederà. Queste sono tutte negazioni. Sono modi di spiegare la felicità ordinaria o di descriverla in termini di non essere questo o quello. Quindi, quando parliamo della vera causa della sofferenza, la vera causa ultima è l'inconsapevolezza. La mancanza di consapevolezza di causa ed effetto e di come le cose esistono, quindi anche tutto questo è un fenomeno di negazione. 

Qual è l'obiettivo? Raggiungere un vero arresto di essi - la terza nobile verità. Questa è un fenomeno di negazione. Come otteniamo questi veri arresti? Attraverso vere menti-sentiero, cioè vere comprensioni – la quarta nobile verità – che sono delineate nei termini di quelle comprensioni che porteranno a un vero arresto. Di nuovo, l'enfasi è sulla negazione, sulla rimozione e sulla separazione, vale a dire sul determinare una vera separazione, un vero arresto, o vera cessazione delle due oscurazioni dai nostri continuum mentali che impediscono la liberazione e l'onniscienza. 

Quando parliamo di queste vere menti-sentiero (la quarta nobile verità), possiamo parlarne in termini del loro livello del sentiero – quelle che effettivamente porteranno a queste separazioni – e possiamo anche parlarne in termini del livello risultante di ciò che un Buddha effettivamente realizza, ovvero le 32 qualità della mente illuminata. Queste 32 qualità sono descritte come risultati di separazione: non sono causate dalla separazione, ma sono comprensioni libere per sempre dalle due oscurazioni. 

Anche se consideriamo la parola tibetana “yon-tan” di solito tradotta come "buone qualità", il mio maestro Serkong Rinpoce l’ha spiegata come "correzione delle inadeguatezze". Questo è molto vicino al nostro specificatore, è una doppia negazione. Questi risultati di separazione - che sono le qualità della mente di un Buddha, di un dharmakaya onnisciente (sanscr. dharmakāya) - sono spiegati nell'Uttaratantra, un testo di Maitreya, Continuum sublime, Gyulama (rGyud bla-ma) in tibetano. Queste qualità della mente sono fenomeni statici, nel senso che non sono influenzate da nulla, non declinano e durano per sempre. Se guardiamo l'elenco di queste 32 qualità, sono definite in termini di negazioni come la mancanza di paura nel senso che un Buddha non ha paura di proclamare davanti a tutti di essersi separato da tutte le oscurazioni. 

Quando osserviamo le qualità della parola di un Buddha, anche queste sono per lo più spiegate in termini di negazioni: è senza tentennamenti, senza parole inutili, e così via. Sono specificamente le 32 qualità del corpo di un Buddha a essere fenomeni di affermazione e sono noti come risultati di maturazione, ovvero sono maturati dalla rete di forza positiva, la cosiddetta "raccolta di meriti", ma anche queste sono correzioni dell'inadeguatezza di avere un corpo limitato. Quindi, i fenomeni di negazione sono assolutamente cruciali per l'intera presentazione che il Buddha diede dei suoi insegnamenti. 

Negazioni implicative e non implicative 

    Puoi descrivere la vacuità in termini di affermazioni? 

No. Per spiegarlo dobbiamo entrare nelle divisioni delle negazioni. Ci sono alcune negazioni che, dopo aver escluso un oggetto da negare, il suono delle parole con cui è stato pronunciato lascia dietro di sé la sua scia o impronta, o implicano, come conoscibili a una cognizione concettuale, sia un fenomeno di negazione che un fenomeno di affermazione, e alcune in cui il suono lascia solo un fenomeno di negazione. La vacuità è quella che lascia solo un fenomeno di negazione. 

Quando pensiamo "questo è un tavolo senza tovaglia", il suono delle parole nega "un tavolo con una tovaglia" e lascia dietro di sé un tavolo e l'assenza di una tovaglia su di esso. Quando pensiamo "non c'è una tovaglia sul tavolo", il suono delle parole nega "una tovaglia sul tavolo" e lascia dietro di sé solo l'assenza di una tovaglia sul tavolo. Non lascia dietro di sé il tavolo.

La vacuità è il secondo tipo, e si chiama “negazione non implicativa” (med-dgag). Il primo tipo è una negazione implicativa (ma-yin dgag). Quindi, naturalmente, ci sono quattro modi diversi in cui il suono delle parole di negazione può implicare sia negazioni che affermazioni: esplicitamente, implicitamente, entrambe, o eliminando una scelta in cui può esserci solo l'una o l'altra. Abbiamo specificato che può essere solo "questo" e non "quello", quindi quando diciamo "non è quello", il suono di quelle parole implica che sia "questo", in quanto conoscibile in una cognizione concettuale. 

Il termine tecnico per ciò che implica il suono delle parole di negazione dopo che hanno negato l'oggetto da negare significa "scia di una nave" (shul), ciò che una nave lascia nell'acqua dopo il suo passaggio, una sorta di impronte. Queste sono le parole che vengono usate, letteralmente, "ciò che lascia nella sua scia". 

Stiamo parlando dell'oggetto che viene pensato e negato nel pensiero concettuale, l'oggetto di negazione. Stiamo pensando a "un tavolo senza tovaglia" o "nessuna tovaglia sul tavolo". Conoscere correttamente l'unità che costituisce l'oggetto da negare è molto importante quando ci concentriamo sul fatto che "non esiste una cosa come la vera esistenza del tavolo". 

    Torniamo a Tenzin. In realtà, si tratta di una pagina di fotografie senza Tenzin. 

Cos'è questa cosa? È una pagina senza una foto di Tenzin. "Questa è una pagina senza una foto di Tenzin" è una negazione implicita. Dopo aver negato "questa è una pagina con una foto di Tenzin", lascia sulla sua scia o impronta sia una pagina che l'assenza di una foto di Tenzin. Questa negazione è diversa da "non c'è nessuna foto di Tenzin su questa pagina". 

    Il problema è che "non Tenzin" è qualcosa di diverso da "senza Tenzin". 

Esatto. C'è una bella differenza tra "un tavolo senza tovaglia" e "non c'è nessuna tovaglia sul tavolo". Con la prima, stavamo cercando un tavolo con una tovaglia nel ristorante, e quando ne abbiamo visto uno senza, abbiamo pensato: "Questo è un tavolo senza tovaglia". Con la seconda, stavamo cercando una tovaglia, e quando abbiamo visto che non c'era nessuna tovaglia su un certo tavolo, abbiamo pensato: "Non c'è nessuna tovaglia su questo tavolo". Questi due pensieri sono molto diversi. Dobbiamo conoscere questa differenza per non confondere la meditazione su "un tavolo che non esiste veramente", "la non vera esistenza del tavolo" e "non esiste una cosa come la vera esistenza di un tavolo". Si tratta di tre meditazioni molto diverse. 

Questo è ciò di cui non parleremo! In realtà, è un bene perché ci dà un’idea di alcuni degli argomenti trattati. Ovviamente, dovremmo approfondirli molto di più. 

I quattro modi in cui una negazione implicativa può implicare qualcosa 

   Per favore, puoi spiegare i quattro modi in cui una negazione, considerata come un'unità completa, può implicare delle cose. O, per usare un termine tecnico, come può lasciare delle cose dietro di sé?

Limitiamoci agli esempi standard, pensando prima a "Un uomo grasso che non mangia durante il giorno". Dopo aver escluso che l'uomo grasso mangia durante il giorno, il suono di quelle parole di negazione implica esplicitamente (1) la negazione "non magro" perché è grasso. Implicitamente implica (2) l'affermazione "mangia durante la notte", perché è grasso. Questo pensiero (3) implica sia esplicitamente che implicitamente. 

L'esempio classico del quarto tipo di negazione implicativa è che sappiamo che Siddhartha (sanscr. Siddhārtha) Buddha era o un brahmino o uno kshatriya, in termini di due caste (esistono ovviamente altre caste). Quando lo sappiamo, e qualcuno dice che Buddha Shakyamuni non era un brahmino, allora sappiamo da quella situazione - si tratta di una scelta, solo l'uno o l'altro -, che (4) era uno kshatriya. Il suono delle parole "Buddha non è un brahmino" lascia dietro di sé o implica che sia uno kshatriya. Qui, è solo dalla situazione che sappiamo che Buddha poteva essere stato solo un brahmino o uno kshatriya, e quando scopriamo che non era un brahmino, sappiamo da ciò che ne consegue che era uno kshatriya. Se non conoscessimo le possibilità di quale casta avrebbe potuto essere il Buddha e qualcuno ci dice che non era un brahmino, il fatto che sappiamo che non era un brahmino non implica né porta con sé l'affermazione di quale casta fosse il Buddha. 

I due significati di “inconsapevolezza” 

    E l'inconsapevolezza? Come la intendiamo?

Ci sono due modi di definire l'inconsapevolezza, due diversi tipi di negazione coinvolti. Tecnicamente, entrambi i tipi di inconsapevolezza o ignoranza riguardano solo la mancanza del sé o la causa ed effetto karmici. Ma se semplifichiamo le definizioni dei due e le applichiamo in modo più ampio, uno è semplicemente non sapere qualcosa, e l'altro è saperlo in modo invertito, non saperlo correttamente, saperlo al contrario. Quando ti chiami Mary, c'è una differenza tra non sapere il tuo nome e pensare che tu sia Jane. Il non sapere come ti chiami quando penso che tu sia Jane, e il non sapere semplicemente il tuo nome sono esempi delle due definizioni piuttosto diverse di "non sapere". 

I sistemi filosofici successivi a Dharmakirti (sanscr. Dharmakīrti) – Sautrantika (sanscr. Sautrāntika) seguaci del ragionamento, Cittamatra (sanscr. Cittamātra) seguaci del ragionamento e Madhyamaka (sanscr. Mādhyamaka) – lo interpretano come, ad esempio, "In realtà non sapevo il tuo nome quando pensavo che il tuo nome fosse Jane". I sistemi filosofici prima di Dharmakirti – Vaibhashika (sanscr. Vaibhāṣika), Sautrantika seguaci delle scritture e Cittamatra seguaci delle scritture – lo interpretano come "Non so proprio il tuo nome". 

Se vogliamo essere più precisi sul significato, applicato a questo esempio del nome di Mary, l'inconsapevolezza è un fattore mentale che impedisce di conoscere correttamente il suo nome. Un motivo è che siamo troppo timidi per chiederglielo, quindi non sappiamo il suo nome. Un altro motivo è che siamo sicuri che il suo nome sia Jane e questo ci impedisce di chiederglielo e di sapere esattamente come si chiama.

C'è un grande dibattito su quale tipo di inconsapevolezza dobbiamo eliminare per raggiungere un vero arresto della sofferenza. Questa è una domanda molto importante. Dobbiamo liberarci semplicemente dal non conoscere la mancanza del sè o la vacuità, o dobbiamo liberarci dal conoscerli in modo errato? 

I due modi di concentrarsi sulla vacuità: durante l'assorbimento totale e durante l’ottenimento susseguente 

Ci sono molti altri punti che dobbiamo chiarire. "Io senza i miei occhiali" e "questi occhiali non sono i miei occhiali" sono entrambe negazioni implicative. Nel caso di "io senza i miei occhiali", il fenomeno affermativo conoscibile in seguito alla negazione è "io". In questo esempio, "io" è anche la posizione o il luogo della negazione. Nel caso di "questi bicchieri sul tavolo non sono i miei occhiali", il fenomeno affermativo conoscibile in seguito alla negazione è "questi bicchieri". Qui, la posizione della negazione è "il tavolo". Pertanto, il fenomeno affermativo introdotto in una negazione implicativa può o meno essere anche la posizione della negazione.

D'altra parte, "non ci sono bicchieri sul tavolo" è una negazione non implicativa. Non c'è alcun fenomeno di affermazione conoscibile sulla scia della negazione. Il luogo della negazione, tuttavia, è "il tavolo".

Come questi esempi, “non esiste una cosa come un me veramente esistente” è una negazione non implicativa, mentre “un me privo di vera esistenza” è una negazione implicativa. Questo è ciò su cui ci concentriamo, rispettivamente, durante l’assorbimento totale (mnyam-bzhag) sulla vacuità del sé simile allo spazio e dell’ottenimento susseguente (rjes-thob) focalizzato sulla vacuità del sé simile a un’illusione – la cosiddetta "post-meditazione", anche se in realtà stiamo ancora meditando sulla vacuità. Questi sono due passaggi nella meditazione. Durante l'assorbimento totale su "nessuna cosa come un io veramente esistente", dopo che un "io veramente esistente" è stato escluso o tagliato fuori, il suono di quelle parole di negazione lascia dietro di sé solo il fenomeno della negazione "la totale assenza di un io veramente esistente perché non esiste una cosa del genere". Non elimina il fenomeno di affermazione "io", e quindi ci stiamo concentrando solo su quella totale assenza e non su di me. In altre parole, la totale assenza è appresa esplicitamente e nulla è appreso implicitamente. 

Durante il periodo di ottenimento susseguente, il nostro focus è su "un me privo di vera esistenza". Sia il fenomeno di negazione "l'assenza di vera esistenza" sia il fenomeno di affermazione "me" sono nella scia. Entrambi vengono appresi: "me" viene appreso esplicitamente e "l'assenza di vera esistenza", che è ancora una negazione non implicativa, viene appresa implicitamente. Solo "me", tuttavia, appare nella meditazione.

La domanda dell'altro Christian era: qual è la differenza tra concentrarsi sulla non-vera esistenza dei fenomeni che sorgono in modo dipendente e concentrarsi sui fenomeni che sorgono in modo dipendente che non esistono veramente? È lo stesso che ho appena spiegato riguardo all'assenza di sé di me: il primo è concentrarsi su una negazione non implicativa e il secondo su una negazione implicativa. Concentrandoci sulla "non-vera esistenza delle cose che sorgono in modo dipendente" durante l'assorbimento totale, ci stiamo concentrando sul fenomeno della negazione, "non esiste la vera esistenza delle cose che sorgono in modo dipendente". Il fenomeno della negazione appare alla coscienza ed è appreso esplicitamente. "Le cose che sorgono in modo dipendente che sono prive di vera esistenza " non appaiono a quella cognizione e non sono apprese affatto, nemmeno implicitamente. 

Concentrandoci sulle "cose non realmente esistenti che sorgono in modo dipendente" durante il periodo di ottenimento susseguente, ci stiamo concentrando sul fenomeno di affermazione, "cose che sorgono in modo dipendente prive di vera esistenza". Il fenomeno di affermazione appare alla coscienza ed è appreso esplicitamente. Sebbene il fenomeno di negazione "non esiste la vera esistenza delle cose che sorgono in modo dipendente" non appaia alla coscienza, tuttavia è appreso implicitamente. Un apprendimento implicito è quello in cui la cognizione riconosce in modo deciso e accurato un oggetto, ma quell'oggetto non appare a quella cognizione. 

Se ci chiediamo se, durante l'assorbimento totale nella vacuità, la base della vacuità sia nota in quel momento, allora dobbiamo distinguere tra la cognizione concettuale e la cognizione non concettuale della vacuità. Dobbiamo anche fare una distinzione tra i due insiemi di spiegazioni che troviamo nella tradizione Ghelug. Per quanto riguarda l'assorbimento totale concettuale nella vacuità: 

  • I libri di testo del Pancen, utilizzati nei monasteri di Drepung Loseling e Ganden Shartse, spiegano che durante l'assorbimento concettuale totale sulla vacuità, si verifica anche una seconda cognizione simultanea con cui si ha la cognizione esplicita della base della vacuità. Tuttavia, non si presta molta attenzione a questa seconda cognizione; l'attenzione è focalizzata sulla cognizione concettuale della vacuità, sull'assorbimento concettuale sulla vacuità. 
  • Secondo l'altra serie di testi, i libri di testo di Jetsunpa utilizzati dal monastero di Ganden Jangtse e di Sera Je, al momento del totale assorbimento concettuale sulla vacuità si verifica una cognizione subliminale della base della vacuità in cui l'oggetto appare ed è conosciuto da quella cognizione subliminale, ma non appare e non è conosciuto dalla persona. La persona è consapevole e conosce solo l'oggetto della cognizione manifesta, in questo caso la vacuità. 
  • Molti ghesce ghelugpa, quando spiegano in modo semplificato al grande pubblico, affermano che, secondo i prasangihka, la base della vacuità è riconosciuta implicitamente durante l'assorbimento concettuale totale nella vacuità.

Nel caso dell'assorbimento totale non concettuale nella vacuità: 

  • I libri di testo del Pancen affermano che non esiste una seconda cognizione simultanea e che abbia come oggetto la base della vacuità. 
  • I libri di testo di Jetsunpa affermano che non esiste una cognizione subliminale simultanea della base della vacuità. Tuttavia, i libri di testo di Jetsunpa affermano che, contemporaneamente a questo assorbimento totale non concettuale sulla vacuità, vi è una cognizione subliminale della vera esistenza, in questo caso, della vera esistenza della vacuità. Non è necessario entrare nei dettagli tecnici di questo. 

È solo nel caso della consapevolezza onnisciente di un Buddha che possiamo avere la cognizione non concettuale simultanea e manifesta della natura essenziale delle due verità, in cui le nature essenziali di entrambe le verità sono conosciute esplicitamente. Un Buddha non ha cognizione concettuale né distinzione tra assorbimento totale e ottenimento susseguente. La natura essenziale di entrambe le verità è la loro vacuità. Con questo assorbimento totale non concettuale, un Buddha è sempre totalmente assorbito simultaneamente nella vacuità della vacuità (verità più profonda) e nella vacuità dei fenomeni che sorgono in modo dipendente (verità superficiali e convenzionali), ed entrambe appaiono e sono conosciute esplicitamente. Prima del conseguimento dell'illuminazione, la vacuità (la natura essenziale) degli oggetti superficiali e convenzionalmente veri non può apparire quando si è totalmente assorbiti nella natura essenziale (la vacuità) della verità più profonda, perché questi oggetti appaiono con l'apparenza impura di essere veramente esistenti.  

Le pure apparenze dei fenomeni che sorgono in modo dipendente, che un Buddha riconosce simultaneamente ed esplicitamente quando è totalmente assorto nelle vacuità delle due verità, non hanno alcuna apparenza di esistenza veramente stabilita che sembra sorgere dal lato degli oggetti, né tale apparenza sorge dal lato della mente di quel Buddha. Queste pure apparenze non sono chiamate verità superficiali o convenzionali, sono chiamate "semplici convenzionalità" (tha-snyad-tsam).

Prima di allora, quando conosciamo concettualmente in modo manifesto ed esplicit la vacuità, la verità più profonda, possiamo conoscere la verità convenzionale e superficiale solo con una seconda cognizione che avviene contemporaneamente, oppure in modo subliminale, a seconda della spiegazione del libro di testo che seguiamo. Quando conosciamo la vacuità in modo esplicito e non concettuale, non possiamo essere consapevoli allo stesso tempo della base di quella vacuità. 

Nel caso dell’ottenimento susseguente concettuale, quando conosciamo esplicitamente la verità convenzionale o superficiale dei fenomeni – in altre parole, l'apparenza dei fenomeni che sorgono in modo dipendente – in quel momento possiamo conoscere implicitamente, con quella stessa cognizione, simultaneamente, la vacuità dei fenomeni che sorgono in modo dipendente. Questo perché durante l’ottenimento susseguente l'apparenza dei fenomeni che sorgono in modo dipendente è accompagnata da un'apparenza di vera esistenza, quindi non possiamo conoscere esplicitamente l'apparenza della vera esistenza e l'assenza di un'apparenza di vera esistenza. 

Nel caso degli arhat, la pura apparenza dei fenomeni che sorgono in modo dipendente e che essi conoscono esplicitamente non sembra avere un'esistenza realmente stabilita, che sorge dal lato degli oggetti, ma sembra che abbiano un'esistenza realmente stabilita, che sorge dal lato della loro mente. Prima di diventare arhat, gli oggetti che sorgono in modo dipendente appaiono con entrambi i tipi di apparenza di esistenza realmente stabilita. 

Questi punti, sebbene molto sottili e di difficile comprensione, sono molto importanti per comprendere appieno cosa significhi raggiungere lo stato di Buddha e avere la cognizione simultanea delle due verità che consiste nell'avere, in modo non concettuale, la cognizione esplicita e manifesta della natura essenziale, la vacuità, delle due verità simultaneamente in un'unica cognizione. 

Quando parliamo dei livelli della mente, argomento esclusivo dell'anuttarayoga tantra (la classe più elevata), allora parliamo del livello più sottile della mente, noto come mente di chiara luce, il solo che può avere quella cognizione simultanea non concettuale delle due verità, entrambe manifeste ed esplicitamente conosciute. Questo perché quel livello più sottile della mente, la mente di chiara luce, non ha alcuna apparenza di vera esistenza. 

Quando tutti i livelli mentali più grossolani, di cui il sutra si limita a parlare, danno un'apparenza alla verità superficiale e convenzionale o all'apparenza dei fenomeni, possono solo darne un'apparenza come realmente esistenti. Per questo motivo, quando una cognizione conosce esplicitamente la verità superficiale e convenzionale delle cose – come ci appaiono – non può avere simultaneamente la cognizione esplicita della vacuità perché l'apparenza dei fenomeni convenzionali sarà con vera esistenza e la vacuità è l'assenza di vera esistenza, quindi si escludono a vicenda. Di conseguenza, quando c'è la cognizione esplicita della vacuità, l'assenza di vera esistenza, non possiamo avere in quella stessa cognizione la cognizione esplicita dei fenomeni convenzionali, perché apparirebbero realmente esistenti. 

Anche se potessimo raggiungere la cognizione simultanea esplicita, manifesta e non concettuale delle due verità con la coscienza di chiara luce, in termini di totale assorbimento nella vacuità con la mente di chiara luce, non sarebbe qualcosa che possiamo sostenere per sempre prima dell’ottenimento dello stato di Buddha. È solo realizzandolo che possiamo sostenerla per sempre, senza alcuna interruzione. Dobbiamo stare attenti a non confondere questi tipi di cognizione simultanea delle due verità con il tipo di cognizione simultanea delle due verità che ha un Buddha, che è ciò a cui aspiriamo. 

Ora, ricolleghiamo tutto questo alla nostra discussione sulle negazioni implicative e non implicative. Quando abbiamo descritto l'assorbimento totale nella vacuità, sia essa concettualmente o non concettualmente conosciuta, in quel caso stiamo parlando di una negazione non implicativa – "non esiste una cosa come la vera esistenza", in questo caso la vera esistenza di fenomeni che sorgono in modo dipendente o di qualsiasi fenomeno specifico che sorga in modo dipendente, una persona o un tavolo. Il suono delle parole della negazione, dopo aver negato ciò che deve essere negato, lascia dietro di sé solo un fenomeno conosciuto in modo negativo, solo una negazione, in quanto conoscibile da un pensiero concettuale. Ciò non significa, tuttavia, che la vacuità non possa essere conosciuta in modo non concettuale.

La vacuità conosciuta concettualmente o non concettualmente nella fase di ottenimento susseguente della meditazione sulla vacuità è anch'essa una negazione non implicativa che porta con sé solo il fenomeno della negazione "non esiste una cosa come la vera esistenza" ma, a differenza dell'assorbimento totale, quando questa assenza di vera esistenza appare manifestamente ed è appresa esplicitamente, ora non appare ed è appresa solo implicitamente. L’ottenimento susseguente, tuttavia, è focalizzato sulla negazione implicativa: fenomeni che sorgono in modo dipendente e privi di vera esistenza. I fenomeni che sorgono in modo dipendente sono un fenomeno di affermazione gettato sulla scia della negazione implicativa. 

Come concentrarsi sull'assenza di vera esistenza 

Ora potreste chiedervi: come possiamo concentrarci sull'assenza di vera esistenza? Diciamo sulla vera esistenza del tavolo. Secondo la scuola Prasanghika, il primo momento in cui ci concentriamo sul tavolo, che è la base della vacuità – concettualmente o non concettualmente – secondo i ghelugpa, quell'apparenza del tavolo sarà un'apparenza della vera esistenza del tavolo. Se in precedenza abbiamo ottenuto la certezza attraverso l'analisi logica che non esiste una cosa come la vera esistenza, allora dobbiamo applicare quella certezza sul "non esiste una cosa come la vera esistenza" a quell'apparenza del tavolo realmente esistente. Quando la applichiamo, ciò che accade è che la certezza esclude o elimina la vera esistenza e, poiché lo fa alla maniera di una negazione non implicativa, allora abbiamo una cognizione in cui solo l'assenza di vera esistenza appare ed è conosciuta esplicitamente. Quella cognizione non conosce neppure implicitamente la base della vacuità, il tavolo. 

Nel caso in cui questa cognizione della vacuità sia concettuale, allora conosce esplicitamente quella vacuità, quell'assenza di vera esistenza, attraverso la categoria concettuale di "vacuità". Poiché è una cognizione concettuale, farà sì che quella vacuità che appare sembri avere una vera esistenza stabilita dalla sua stessa parte. Se, d'altra parte, è una cognizione non concettuale della vacuità, allora quella vacuità che appare esplicitamente ed è conosciuta, non avrà alcuna apparenza di vera esistenza. Inoltre, nel caso della cognizione concettuale della vacuità, la base di quella vacuità (il tavolo) potrebbe ancora apparire simultaneamente a una cognizione diversa, una cognizione separata che si verifica simultaneamente, o a una cognizione subliminale, a seconda di come analizziamo questa situazione. Tuttavia, certamente non appare e non viene riconosciuto da quella cognizione della vacuità stessa, e non prestiamo molta attenzione a quell'altra cognizione del fondamento della vacuità. Come abbiamo visto, nel caso di una cognizione non concettuale della vacuità, il tavolo non è noto nemmeno a un'altra cognizione simultanea o a una cognizione subliminale. 

Quando ci concentriamo esplicitamente sulla vacuità, sia concettualmente che non concettualmente, come appare, qual è l'apparenza? Consideriamo la spiegazione che troviamo nell'anuttarayoga tantra in cui quell'apparenza è descritta come l'assenza di luce lunare, l'assenza di luce solare e l'assenza di oscurità totale. Sembrerebbe il colore blu scuro molto intenso del cielo quando la bianca luce lunare è scomparsa, il sole non ha ancora iniziato a sorgere e a tingere di rosso il cielo, e non c'è nemmeno l'oscurità assoluta della notte. Quel blu scuro molto intenso che si verifica in quel momento è come apparirebbe la vacuità. 

In una cognizione concettuale, questo colore apparirebbe attraverso il filtro trasparente della categoria "vacuità", che farebbe apparire questo colore come realmente esistente; mentre se la cognizione fosse non concettuale, allora ci sarebbe solo l'apparenza di questo colore. Badate bene, non è che l'apparenza di questo colore esista da qualche parte là fuori, stabilita da sé, da alcune caratteristiche dalla sua parte, ma piuttosto questa apparenza è qualcosa che è l'ologramma mentale che la mente produce come ciò che effettivamente accade quando c'è questa cognizione. La comprensione di quell'apparenza, di quell'ologramma mentale, è la comprensione che "non esiste nulla come la vera esistenza". 

Possiamo vedere che dobbiamo rispondere a queste domande in modo preciso per meditare correttamente; altrimenti, non abbiamo davvero idea su cosa dovremmo concentrarci nella nostra meditazione sulla vacuità. Non è così semplice. Il punto è: come meditiamo sulla vacuità per superare le cause della sofferenza che ci causano il samsara (sanscr. saṃsāra) e ci impediscono di aiutare gli altri? Come ci concentriamo su di essa, anche se sappiamo cosa significa? Cosa ci viene in mente quando pensiamo "vacuità"? Vogliamo sederci e meditare, cosa facciamo? Abbiamo letto il significato, abbiamo sentito di cosa si tratta, pensiamo di capirlo. Ora, siamo seduti e vogliamo meditarci sopra. Cosa facciamo? Ripetiamo semplicemente la definizione? A cosa stiamo pensando? Come ci concentriamo sulla vacuità? 

Se non sappiamo come concentrarci su qualcosa, è come avere la medicina per una malattia e sappiamo di cosa si tratta, ma non abbiamo idea di come prenderla. Dobbiamo iniettarcela, berla, fare un clistere? Cosa fare? Non ne abbiamo idea, non sappiamo quanta prenderne e con quale frequenza. Dobbiamo andare dal medico (dall'insegnante) per scoprirlo. Tuttavia, sappiamo di cosa si tratta e sappiamo che curerà la nostra malattia. Questo è un ottimo esempio. 

Ci sono moltissime cose che dobbiamo sapere per meditare correttamente sulla vacuità. Quali sono le fasi? Beh, come con l'assunzione di medicine: per i primi giorni le prendiamo ogni tot ore, poi nei giorni successivi le prendiamo meno. Ci sono istruzioni lungo il percorso, non è vero? Ecco perché questo argomento è molto importante. È il punto di tutta questa discussione. Dobbiamo saperlo, nonostante sia difficile non è impossibile. Serkong Rinpoce usava sempre un esempio meraviglioso. Amava andare al circo. Diceva che se un orso può imparare ad andare in bicicletta, allora, come esseri umani, possiamo imparare molto di più.

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