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Introduzione

Stiamo parlando di affermazioni e negazioni, un argomento molto importante che ne tocca un altro, ovvero quello delle parole e del loro significato e di come, attraverso le parole, intendiamo effettivamente qualcosa, sentiamo qualcosa. Questo è cruciale per la meditazione. È come, ad esempio, con la preghiera in sette parti che recitiamo all'inizio. Potremmo semplicemente recitare le parole corrette. Potremmo conoscere il significato di tutte le parole e recitarle con i significati, ma non ottenere comunque un grande effetto. Dobbiamo applicare quel significato e sentirlo davvero, generare ciò di cui stiamo parlando e per farlo dobbiamo sapere su cosa la nostra mente deve concentrarsi e come deve accogliere quell'oggetto. Altrimenti, la nostra recitazione non avrà molto effetto. Potrebbe avere un piccolo effetto perché stiamo recitando parole sacre, ma non avrà lo stesso effetto di quando sappiamo come farlo correttamente. 

Lo stesso vale per le lodi a Manjushri (sanscr. Mañjuśrī). Possiamo pronunciarne le parole e comprenderne il significato, ma come applicarlo? Beh, eccoci qui a pensare a queste qualità, a Manjushri come Buddha. Queste sono le qualità. Pensiamo a quanto siano fantastiche, a quali ne siano le cause, a come vogliamo raggiungerle, a come vogliamo realizzare le cause che le realizzeranno, e siamo ispirati dall'esempio di coloro che l'hanno fatto. Recitare la preghiera con questa convinzione ha un effetto.

Quando meditiamo sulla vacuità, che è una negazione, è molto importante non solo che le parole siano corrette e che ne comprendiamo il significato: dobbiamo anche essere convinti che il significato sia corretto, che corrisponda effettivamente alla realtà. Quindi, dobbiamo sapere come applicare la mente per concentrarci su di essa. Il tema delle negazioni e delle affermazioni è cruciale per tutto questo. 

C'è un altro punto che voglio sottolineare come introduzione, ovvero quanto siano importanti le negazioni nel lam-rim, gli stadi graduali del sentiero. Preziosa vita umana, su cosa ci stiamo concentrando? Sul non rinascere in stati sfortunati. È una negazione. Dobbiamo sapere quali sono questi stati sfortunati in cui non avremmo la libertà di studiare il Dharma. Poi, la meditazione sulla morte: non vivremo per sempre, non sappiamo quando arriverà il momento della nostra morte. Tutte queste altre cose che potremmo fare, come guadagnare molti soldi, non ci aiuteranno al momento della morte. Tutte queste sono negazioni. Pensate alle rinascite sfortunate. Non vogliamo sperimentarle. È una negazione. Il rifugio ha a che fare con il fatto che non vogliamo sperimentare queste rinascite e contiene anche l'affermazione che andare in questa direzione aiuterà, quindi ci sono entrambe le cose. 

Nella discussione sul karma comprendiamo che tutte queste azioni negative producono sofferenza. Non vogliamo compierle. Ci asterremo dall'agire in questo modo; è una negazione. Rinuncia, non vogliamo la rinascita incontrollabile, la rifiutiamo. È una negazione. Mantenendo la disciplina etica rifiutiamo i comportamenti dannosi. Con la concentrazione rifiutiamo il divagare mentale, il torpore. Vogliamo uno stato privo di tutto questo. È una negazione. Anche l'intera discussione sul Mahayana (sanscr. Mahāyāna) ha molte negazioni. Equanimità, non vogliamo essere attaccati, arrabbiarci o provare repulsione per nessuno - non essere indifferenti a nessuno. È una negazione. Non pensate di non avere alcun legame con gli altri: tutti sono stati nostra madre e vogliamo che non soffrano. Nella meditazione del dare e avere (tonglen) prima prendiamo la loro sofferenza, poi diamo loro felicità. Non vogliamo avere egocentrismo ed essere incapaci di aiutare gli altri a raggiungere l'illuminazione. Non vogliamo solo il pacifico nirvana (sanscr. nirvāṇa) di un arhat. La vacuità è la negazione della vera esistenza. Possiamo vedere che tutte queste sono negazioni, ed è molto importante sapere come la mente si concentra su di esse. Questa è la mia introduzione. 

Revisione 

Ripassiamo dato che il materiale è difficile. Stavamo parlando dei vari fenomeni che conosciamo. Questo è un punto centrale del Buddhismo, perché lavoriamo con la mente per liberarci dalla sofferenza. Quali sono le varie cose che la nostra mente può conoscere? Alcune esistono e altre non esistono. Quelle esistenti sono ciò che possiamo conoscere validamente, quelle inesistenti sono ciò che potremmo conoscere, come una macchia sfocata quando ci togliamo gli occhiali, ma è un oggetto inesistente; non possiamo conoscerlo validamente. Possiamo sapere validamente che è una macchia sfocata, è qualcos'altro. Pensare che una macchia sfocata sia effettivamente ciò che c'è là fuori, nella realtà, non è una cognizione valida. Dobbiamo conoscere questa differenza nella nostra esperienza. 

Tra ciò che possiamo conoscere validamente (fenomeni esistenti), abbiamo visto che alcuni sono statici e altri no. Quelli non statici sono influenzati da cause e condizioni; cambiano di momento in momento e possono influenzare altre cose. Questo è il motivo per cui a volte uso il termine "variabili influenzanti" perché influenzano le cose, e "fenomeni funzionali", che svolgono una funzione, questi sono non statici. I fenomeni statici sono l'opposto. Non sono influenzati da cause e condizioni, non cambiano di momento in momento, non influenzano nulla, non producono alcun effetto, come una categoria. Non fa assolutamente alcuna differenza per quanto tempo uno di questi si verifichi o esista, non è questa la distinzione che viene fatta qui. In entrambi gli insiemi di fenomeni, possono avere una qualsiasi delle quattro possibilità: esistere per un tempo limitato con un inizio e una fine; esistere senza inizio né fine; non avere inizio ma solo fine, come il samsara (sanscr. saṃsāra), ovvero l'ignoranza o l'inconsapevolezza; oppure un inizio ma nessuna fine, come la vera cessazione della nostra sofferenza. 

Tra i fenomeni esistenti validamente conoscibili, in entrambe queste classi, statici e non statici, alcuni di essi sono affermazioni, altri negazioni. I fenomeni esistenti possono essere suddivisi in statici o non statici, oppure in affermazioni e negazioni. È come un taglio orizzontale di una torta o un taglio verticale. Stiamo esaminando l'interpretazione ghelugpa di questo, e in particolare quella di Jetsunpa come principale. 

Ora, arriviamo alle definizioni di affermazione in termini di come questi fenomeni sono conosciuti concettualmente quando li pensiamo. Entrambi i tipi di fenomeni possono essere conosciuti concettualmente o non concettualmente; possiamo pensarli o vederli. Possiamo vedere che Simone è qui oggi, e questa è un'affermazione, la presenza di Simone. Possiamo anche vedere l'assenza di Brigitte; possiamo vedere che Brigitte non è qui. Entrambe sono non concettuali. Possiamo anche pensare: "Simone è qui" e possiamo anche pensare: "Brigitte non è qui". Questo è concettuale. Le definizioni sono date in termini di come li pensiamo perché vogliamo essere chiari in termini di relazione tra parole e significati, e le parole sono coinvolte solo nel modo in cui pensiamo. Voglio dire, anche quando pronunciamo semplicemente delle parole, conoscere queste parole implica un processo concettuale. 

Ricordate, stiamo parlando di cose che sono validamente conoscibili. Le negazioni non sono inesistenti. Possono essere validamente conoscibili. L'assenza di Brigitte nella stanza può essere validamente conoscibile, non è una finzione, non è inesistente. 

Le definizioni dei fenomeni di affermazione e negazione 

Ora, le affermazioni. Stiamo parlando di come sono validamente conosciute concettualmente, ecco come è formulata la definizione, in termini di come le conosciamo concettualmente, di come le pensiamo. La definizione di un fenomeno di affermazione è "fenomeno validamente conoscibile che viene appreso in un modo in cui un oggetto da negare non è esplicitamente escluso dai suoni che esprimono il fenomeno". Quindi, la definizione si compone di due parti. La prima parte fa una distinzione molto chiara: in un'affermazione un oggetto da negare non è già stato precedentemente escluso o effettivamente eliminato ("escluso" è una parola migliore). In una negazione abbiamo precedentemente escluso, effettivamente, – la parola "effettivamente" è molto importante qui – qualcosa da negare. È come se, per creare questo insieme per la negazione, avessimo escluso qualcosa da quell'insieme, come "questa cosa non è in questo insieme". Possiamo vedere che ovviamente dobbiamo sapere cosa stiamo escludendo e che deve essere effettivamente escluso da quell'insieme. Per un fenomeno di affermazione, in realtà non abbiamo escluso nulla per formare un insieme. 

Questa parte della definizione di un fenomeno di affermazione è molto chiara nel creare una dicotomia effettiva. "Dicotomia effettiva" significa che qualcosa che possiamo conoscere validamente deve rientrare in una o nell'altra categoria. Non stiamo parlando di due poli di un asse, come il bianco e il nero. Questa non è una dicotomia effettiva, sebbene siano l'opposto l'uno dell'altro. Non è che qualcosa sia solo nero o solo bianco, o nero o bianco, niente di intermedio. Qui si tratta di una dicotomia effettiva: non c'è niente di intermedio. 

La prima parte della definizione specifica che un fenomeno di affermazione deriva dal fatto di non aver precedentemente eliminato o escluso qualcosa che vogliamo negare per derivarlo, come se stessimo dicendo "mela" per ottenere il concetto di "mela", per pensare "mela". Non abbiamo dovuto escludere "arancia" o "cane" o qualcosa del genere per derivare "mela". Pensiamo semplicemente "mela". Con una negazione, abbiamo dovuto escludere qualcosa in precedenza. Per ottenere "non mela" abbiamo dovuto escludere "mela" per derivare "non mela". 

Non puoi escludere qualcosa che non hai mai affermato prima. Dobbiamo conoscere una mela per escluderla. 

Esatto. Esatto. Dobbiamo conoscere una mela per escluderla. 

Sono la stessa cosa. Un'affermazione e una negazione, è lo stesso processo di differenziazione tra le cose. Se distingui tra "questo" e "quello", devi sapere che "questo" è "questo" e non "quello". Quindi, devi conoscere entrambi. 

Questo è un ottimo punto. Quando conosciamo "mela" conosciamo anche "non mela"? Ne abbiamo parlato un po' prima, e ha a che fare con il modo in cui specifichiamo qualcosa. Come specifichiamo qualcosa? Con "non è nient'altro", non è nient'altro che se stessa. Questo è un diverso tipo di negazione. Credo che lo abbiamo anche nella filosofia occidentale: possiamo conoscere il "Ding an sich"? Possiamo conoscere la cosa in sé, o dobbiamo definirla escludendo ciò che non è? Cosa viene prima, conoscere ciò che è o escludere ciò che non è? Tuttavia, questa è una discussione molto profonda su cui dovrei certamente riflettere un po' di più, e dovremmo discuterne per capire veramente come funziona la mente. 

Quando impari una lingua impari prima cos'è: "Questa è una matita". "Lo è?" "Sì, è una matita". Prima impari l'affermazione e poi distingui ciò che non è. 

Esatto. Quando impariamo qualcosa, prima impariamo una parola, uno schema acustico. Se vogliamo pensarci, è solo questo: uno schema acustico di suoni. Ci si potrebbe chiedere se gli animali considerino gli schemi acustici dei suoni come parole. In ogni caso, impariamo un insieme di suoni acustici e che è una parola. Poi, dobbiamo impararne il significato. Un bambino può dire "Mamma", ma è una parola? Sa cosa significa? Come dicevi, nella teoria cognitiva impariamo prima il significato dei suoni. Il bambino non deve conoscere tutti gli altri suoni possibili ed escluderli per poter dire "Mamma", vero? È solo più tardi, quando conosce tutti i suoni delle parole e del linguaggio che specifica, voglio dire "ma" e non "da". Il bambino non sa nemmeno che "da" esiste, che può emettere quel suono; impara prima "madre". Non ha bisogno di conoscere "frigorifero" o "computer" ed escluderli per conoscere "mamma". Ma per conoscere "non madre", il bambino deve conoscere "mamma". Interessante, vero? 

Il suono di una parola esclude qualcosa? 

La seconda parte della definizione di un fenomeno di affermazione, "dai suoni che esprimono il fenomeno", è più complessa e si concentra su cosa abbia il potere di creare questa esclusione (bcad-pa) o questa precedente esclusione (sel-ba). Cos'è che lo fa? È la parola, è il suono delle parole o è la mente? Questa è la parte interessante della definizione di un fenomeno di affermazione perché si parla di un'eliminazione effettiva – quindi, ovviamente, la parola "effettiva" è importante. Cosa significa? 

La definizione di un fenomeno di affermazione asserisce che la negazione effettiva non è data dal suono delle parole. Nella definizione di un fenomeno di negazione, tale esclusione è operata dal potere del pensiero concettuale, della mente. Dobbiamo ricordare cos'è "mamma" per sapere "non mamma", non dobbiamo sapere nient'altro. Il bambino sa solo "non mamma", "la mamma non è qui"; non sa nient'altro. Non sa "computer" o "frigorifero" per pensare "non mamma", "dov'è la mamma?" 

La domanda è: sono le parole a creare un'esclusione effettiva, o è il pensiero (la cognizione)? Questa è la vera questione che deve essere esplorata e su cui abbiamo diverse interpretazioni. La questione importante in questa discussione è: una parola esclude automaticamente un significato o solo un suono? Inoltre, esclude solo un suono o esclude un suono e un significato? Quale delle due è un'esclusione effettiva? Questo rientra nell'intera discussione filosofica: le parole hanno significati intrinseci? Possiamo vedere che è una discussione dalle molteplici ramificazioni. 

Ci sono alcune parole il cui suono implica una negazione, ma sono usate così frequentemente come affermazione che non sono più rilevanti. Come, ad esempio, "atomo". "Atomo" è una negazione perché "a" significa "non" e "tom" significa "dividere". 

Questo è un esempio meraviglioso. "A" in "atomo" è un fenomeno di negazione, e "tom" significa divisibile, e "temnein" in greco significa "tagliare", "separare". Quando pensiamo "atomo", stiamo pensando a una negazione o a un'affermazione, anche se c'è una parola di negazione, un prefisso di negazione? Questo è esattamente il punto cruciale per capire che, quando ci concentriamo sulla non staticità, è in realtà di un fenomeno di affermazione, come "atomo", anche se ha il prefisso "non" statico. Concentrarsi su "non statico" è molto diverso da "non-statico", nel qual caso, "non-statico" è un fenomeno di negazione basato sulla conoscenza di cosa sia la staticità e sulla sua negazione. Quindi, è un ottimo esempio: per derivare il fenomeno, il concetto della parola "atomo", non dobbiamo sapere cosa sia "tom", qualcosa di divisibile, e negarlo di fatto, sebbene il suono della parola lo neghi. È un ottimo esempio. 

Senza questa spiegazione potresti vederla diversamente e anche i Greci potrebbero concettualizzare la parola "atomo" in modo diverso. 

Giusto. Questo è esattamente il punto e ci arriveremo con un esempio. Se i Greci conoscevano effettivamente la parola "tom", il significato e pensavano "atomo", questo rende "atomo" un fenomeno di negazione? Allora contraddiremmo la nostra regola secondo cui si tratta di una vera e propria dicotomia, o un'affermazione o una negazione. Credo che possiamo capirlo meglio con un esempio più facile. 

Torniamo alla nostra definizione di negazione. Affinché una cognizione valida escluda effettivamente la negazione di un oggetto, deve basarsi su un apprendimento precedente dell'oggetto da negare. Apprendimento (rtogs-pa) forse non è nemmeno la traduzione migliore. La sua definizione è una cognizione che riconosce correttamente e in modo decisivo l'oggetto di impegno. Non è solo corretta, ma anche decisiva al riguardo. Affinché una cognizione valida escluda effettivamente la negazione di un oggetto, deve averlo conosciuto correttamente e in modo decisivo. Il nostro esempio mostrerà la differenza tra queste due. 

Come fai a conoscere "non-Tenzin"?

Supponiamo che io voglia mostrare una foto di Tenzin nel mio album fotografico del mio viaggio in India a un mio nuovo amico, che non conosce nessuno nell'album e non sa nemmeno se Tenzin sia un uomo o una donna, o se sia tibetano. Tenzin è un nome comune che i tibetani danno sia agli uomini che alle donne, e ci sono molti occidentali che usano questo nome, quindi potrebbe essere chiunque. Il mio amico non ne ha la minima idea. Questa è la situazione. Ora, sfogliamo le pagine dell'album e arriviamo a una pagina senza una foto di Tenzin. Guardo la foto di qualcun altro su quella pagina e penso "non Tenzin", e anche il mio amico pensa "non Tenzin" perché giro pagina velocemente. Entrambi i pensieri sono corretti, ma c'è una differenza, no? Non stiamo parlando di una foto di un paesaggio senza persone; ovviamente, quello non è Tenzin, ma anche in quel caso, è diverso. 

Come faceva a sapere quel nome? 

Gli ho detto: "Ti mostrerò Tenzin nel mio album". Non ho detto altro. 

Quindi, l'amico associa solo il nome. Ma tu, avendo in mente il nome, vedi una persona assente. 

Esatto. Esatto. Il mio amico sta pensando solo a un nome, e io sto pensando a una persona, al significato del nome. Esatto. Ci arriveremo. 

Parliamone dal punto di vista della cognizione in sé. Sono diversi: il mio pensiero è valido; il pensiero del mio amico, se con "non Tenzin" intendeva una persona e non solo un nome, se pensava che questa foto di una donna non fosse davvero Tenzin – perché forse pensava che non ci fossero donne chiamate Tenzin (in realtà, ce ne sono molte) – allora la sua era solo una supposizione, un'ipotesi corretta, non una cognizione valida. Questo dal punto di vista della mente concettuale. Quindi, la domanda è davvero: che dire dell'oggetto? Se con "non Tenzin" intende la stessa persona che intendo io, allora sia io che il mio amico stiamo escludendo lo stesso oggetto, una persona. Se il suo "non Tenzin" erano solo parole che non si riferivano a una persona specifica e il mio "non Tenzin" sì, allora non stavamo pensando alla stessa cosa. Il suo "non-Tenzin" non era decisivo. Era una supposizione corretta ma non decisiva. 

Il punto è questo. Cos'è decisivo quando pensiamo solo le parole "non Tenzin"? È decisivo per la parola, non per la persona, il significato della parola. Le parole, il suono delle parole "non Tenzin", escludono decisamente il suono delle parole "Tenzin", ma non necessariamente una persona, l'oggetto referente di "Tenzin". Per pensare verbalmente "non Tenzin", ovviamente, dobbiamo prima conoscere la parola "Tenzin". Quindi, è semplicemente questa la distinzione che vogliamo fare nelle nostre definizioni, o vogliamo fare una distinzione di significato? Possiamo vedere come possiamo interpretare le definizioni in diversi modi. 

Quindi escludi solo verbalmente? 

Giusto. Questo è il punto, verbale, un'esclusione di suoni e parole. Un'esclusione di parole, o un'esclusione dei significati delle parole, degli oggetti referenti delle parole. Questo è il grande problema. Ovviamente ha molta rilevanza quando parliamo di meditazione sulla vacuità, sulla non vera esistenza. Su cosa ci stiamo concentrando? Non è solo una questione teorica. Abbiamo sentito "non vera esistenza", e non abbiamo idea di cosa si intenda veramente per vera esistenza. Poi, ci sediamo e cerchiamo di meditare sulla "non vera esistenza". Cerchiamo di capire "non vera esistenza", stiamo pensando al suono delle parole "non vera esistenza", non al significato di " vera esistenza ". 

È ovvio che sappiamo che il "non" è l'opposto di "vera esistenza", ma non abbiamo idea di cosa sia la vera esistenza. Abbiamo operato un'esclusione solo con il potere della parola, del suono dello schema acustico "non", che la nostra società ha arbitrariamente deciso significare una negazione. Non significa necessariamente questo per qualcuno che non conosce la nostra lingua. Di per sé, lo schema acustico "non" non esclude nemmeno necessariamente la parola che lo segue, per non parlare del significato della parola che lo segue. 

Ricordate l'esempio: forse l'amico pensa che Tenzin sia solo il nome di un uomo e non sa che può essere anche di una donna, e quindi ogni donna che vede nella foto, quella persona pensa "non Tenzin". Questo è un ulteriore esempio in cui si dà un significato errato alla parola "Tenzin". Ci sono molte varianti di cosa sia "non Tenzin". Sono solo le parole? Esclude qualcosa di sbagliato, come qualsiasi donna che si chiama Tenzin? O ha in mente un Tenzin diverso? Conosce qualcuno di nome Tenzin e pensa "non Tenzin". Questa è la domanda: il "non Tenzin" che sta pensando è lo stesso? È un fenomeno unico o sono fenomeni diversi? 

L'amico che non ha informazioni su Tenzin sa comunque che Tenzin deve essere un essere umano, non un cane, una pianta, una montagna o qualcos'altro nella foto. Ha delle informazioni; sta cercando un essere umano. Quindi, l'altra persona dice: "No, Tenzin non è nella foto" e ha in mente la persona completa che conosce, il suo amico Tenzin. Sa che Tenzin è una donna e ha una certa età, ecc. La differenza tra i due osservatori della foto è la differenza di informazioni sul soggetto in questione, Tenzin. L'amico ha pochissime informazioni ma sta cercando un essere umano. L'altro, che conosce Tenzin, ne ha molte. 

Questa è una domanda molto interessante. "Non Tenzin", ma non è esattamente lo stesso esempio di ieri. Il tuo esempio è che la persona sa che Tenzin non è il nome di una montagna. Forse è il nome di una montagna, il monte Tenzin, o il nome di un cane. Avevo un cane in India e il suo nome era Tsultrim, che è anche un nome umano. Questa persona non lo sa. 

Quindi non ha informazioni? 

Beh, non possiamo esserne certi. Questo è l'esempio che abbiamo usato ieri. Porto il mio amico in India e voglio mostrargli una mangusta. Lui non ha la minima idea di cosa sia e vediamo un gatto. Io penso "non una mangusta", e lui pensa "non una mangusta". Lui pensa "non una mangusta" perché sa che è un gatto e, se fosse una mangusta, vedrebbe qualcosa di diverso. Tuttavia, poiché non vede qualcosa di diverso, a causa di quella non-percezione di qualcos'altro, sa che non è una mangusta. 

Ora, secondo una scuola filosofica indiana non buddhista, la Mimamsaka (sanscr. Mīmāṃsaka), si direbbe che il suo modo di conoscere è corretto, valido e distinto. Il Buddhismo direbbe no, come fa a saperlo? Forse "mangusta" è la parola indiana per gatto, forse è un tipo di gatto. Lui non lo sa. Quindi, quante informazioni dobbiamo conoscere per escludere qualcosa? Dobbiamo conoscere solo la cosa che stiamo escludendo (una mangusta), o dobbiamo conoscere assolutamente ogni altro fenomeno conoscibile per sapere che ogni possibile fenomeno conoscibile "non è Tenzin"? Non possiamo conoscere ogni altro possibile fenomeno conoscibile ma solo conoscere Tenzin. 

Ebbene, se escludiamo tutto, possiamo davvero coglierne il significato? È solo nel senso di uno specificatore che cogliamo il significato. Chi è Tenzin? Il "Tenzin" a cui sto pensando è "nessuno se non Tenzin". Quindi, questo lo specifica. È tutto ciò che fa ed è sufficiente perché la parola si combini con il significato. Questo è il cuore del livello più avanzato della discussione sulle negazioni, che non possiamo approfondire questo fine settimana. 

Potremmo provare a descrivere Tenzin usando solo le negazioni, dicendo: "beh, la persona non è maschio, non ha i capelli neri, ecc." Ma allora è possibile avere un'idea di chi sia realmente Tenzin usando solo le negazioni? 

Dipende tutto da quanto specifichiamo. Se proviamo a specificare tutto ciò che Tenzin non è, quando mai potremmo davvero specificare Tenzin? Possiamo ottenere un'approssimazione, ma sarebbe infinita. Potremmo dimenticare che lei non indossa mai orecchini. 

Quindi, se è infinito, lo è anche con la "non vera esistenza"? 

No, no, non è infinito con "non vera esistenza"; quella è una cosa diversa. Il punto è che per specificare che qualcosa non è altro che ciò che è, non è nient'altro. Questa esclusione non richiede di esaminare effettivamente tutto il resto ed escluderlo individualmente. Questo è un tipo di esclusione leggermente diverso. Dobbiamo davvero esaminare tutto il resto che non è? In altre parole, per conoscere "non Tenzin" e poi escluderlo, cosa dovevamo sapere di "non Tenzin"? 

Come ho detto, questo è un livello molto più avanzato e non è quello in cui voglio addentrarmi perché non mi sono preparato. Personalmente, devo davvero riflettere molto più a fondo sull'argomento perché è strettamente legato al modo in cui definiamo una categoria. Per formulare una categoria, in pratica, tracciamo un cerchio attorno a un certo insieme di fenomeni ed escludiamo ciò che non rientra nel cerchio. Questo specifica la categoria. Poi, naturalmente, c'è una grande discussione: ci sono davvero delle linee attorno alle cose che creano categorie ed elementi? Questa è stata la nostra grande discussione, ricordate? Esistenza trovabile: c'è qualcosa sul lato dell'oggetto che crea quella linea, che lo rende un elemento, escludendolo da tutto ciò che non è? I prasanghika (sanscr. prāsaṅgika) dicono "No, questa è solo un'etichettatura mentale, non esiste una linea nell'oggetto; non possiamo trovare nulla del genere". 

Possiamo vedere che questa discussione è fondamentale per la nostra comprensione di cosa si intenda per etichettatura mentale: possiamo stabilire l'esistenza delle cose solo attraverso la semplice etichettatura mentale, semplicemente per il fatto che l'etichetta mentale si riferisce a qualcosa. Non c'è nulla, a livello dell'oggetto, che ne provi o ne stabilisca l'esistenza, nemmeno come elemento conoscibile. Mi dispiace di aver appena iniziato a parlarne, ma non voglio davvero passare a un livello avanzato di questo argomento prima di averne affrontato le basi. 

È proprio questo il punto. Quanto dobbiamo escludere prima di arrenderci? Se cerchiamo la vera esistenza, un "io" realmente esistente, e non lo troviamo – nel nostro naso, o nella nostra mente, o qualcosa del genere – quando concluderemo finalmente che non esiste? O dobbiamo esaminare ogni singolo atomo del nostro corpo, e poi ogni singolo atomo dell'universo per cercare di trovarlo, prima di decidere finalmente di arrenderci e concludere che non esiste? È una domanda molto importante. 

Lasciatemi fare un buon esempio. Come fa un bambino a imparare il concetto di "cibo, di cosa è commestibile? Un bambino non conosce questo concetto e cerca di mangiare tutto, quindi deve davvero provare a mangiare tutto nell'universo prima di comprendere il concetto di cibo e di cosa è commestibile? Tuttavia, il cibo è una categoria specifica che esclude tutto ciò che "non è cibo". Eppure, non c'è nulla nel cibo che in qualche modo lo inserisca in quella categoria di tutte le possibili cose che sono cibo, come una linea intorno ad esso, come un'etichetta, una caratteristica rintracciabile, come un timbro che dice: "Io sono cibo". Non esiste una cosa del genere, eppure il cibo ha una definizione. Entriamo nella discussione su dove esistono le definizioni. Esistono nell'oggetto o no? Non ho resistito, mi dispiace! 

I prasanghika affermano che nemmeno le definizioni sono nemmeno nell'oggetto e anche le caratteristiche definitorie sono create dalla mente, sono arbitrarie. Basta scegliere le caratteristiche definitorie e le categorie da esse definite. Se questo è vero per il cibo, di sicuro lo è anche per il bene e il male, e per questo tipo di parole giudicanti.

Continuazione dell'analisi di "Come sapere che non è Tenzin?" 

Durante la pausa abbiamo avuto un ottimo esempio di come facciamo a sapere chi è qui? Dobbiamo conoscere tutti quelli che non sono qui per sapere chi è qui? Certamente no, ma sappiamo che tutti quelli che sono qui non sono persone che non sono qui. Le pervasioni logiche funzionano così. 

Torniamo alla foto di Tenzin del mio viaggio in India. Abbiamo sfogliato molte pagine e io pensavo: "non Tenzin", poi giro pagina e "non Tenzin". Giro pagina, "non Tenzin", e alla fine il mio amico si aspetta che nella pagina successiva non fosse Tenzin, e così anche lui ha pensato: "non Tenzin". Poi l'abbiamo guardata ed era corretta, non era Tenzin, ma il mio pensiero era valido; il suo pensiero era solo una supposizione corretta. 

Ora, cosa succede se ci imbattiamo in una foto di Tenzin, ma non presto attenzione e penso "non Tenzin" e anche il mio amico pensa "non Tenzin"? È un errore. Appare un messaggio di errore, ma ho un'idea corretta di Tenzin. Il mio errore è che so "non Tenzin", ma l'ho applicato all'oggetto sbagliato; l'ho applicato a Tenzin. Questo è un esempio di sapere effettivamente cosa sia "non vera esistenza" ma applicarlo alla cosa sbagliata o con il significato sbagliato perché non stavo prestando attenzione, cosa che molto spesso accade nella meditazione, non stiamo davvero prestando attenzione. So cosa significa, ma non sto prestando attenzione, quindi lo applico in modo errato. 

Lasciatemi pensare a un esempio. Possiamo pensarlo in un altro sistema, non nel Madhyamaka (sanscr. Mādhyamaka). Ricordate, avevamo tre tipi di fenomeni per i cittamatra (sanscr. cittamātra). Quelli totalmente concettuali, come le categorie; i fenomeni dipendenti, come il tavolo, e i fenomeni completamente stabiliti, come la vacuità. Secondo i cittamatra, sia il tavolo che la vacuità hanno vera esistenza – per loro definizione – e le categorie non hanno vera esistenza. Avere vera esistenza significa essere un oggetto ultimo, che appare a un arya (sanscr. ārya). Per la cognizione non concettuale della vacuità, prima appare il tavolo e poi la sua vacuità – vacuità secondo la definizione cittamatra, la mancanza di un fenomeno dipendente proveniente da una fonte natale separata rispetto ai modi di esserne consapevoli in una cognizione non concettuale. Quindi, per i cittamatra, solo i fenomeni totalmente concettuali mancano di vera esistenza. 

Ma ci confondiamo perché stavamo pensando al sistema Prasanghika, dove tutti i fenomeni sono privi di vera esistenza, definita come esistenza stabilita dal lato dell'oggetto, come con una linea. Nulla esiste come circondato da una linea. Quindi, pensiamo erroneamente che anche i tre tipi di fenomeni dei cittamatra siano privi di vera esistenza come definita dai prasanghika. Stiamo negando l'oggetto di negazione sbagliato, applicandolo a oggetti per i quali la definizione cittamatra non si applica. È un vero pasticcio. 

Nel nostro esempio dell'album fotografico, si tratta più che altro di un esempio del fatto che semplicemente non siamo consapevoli, siamo disattenti, e abbiamo applicato il fenomeno della negazione, non Tenzin, all'oggetto sbagliato, Tenzin; nella nostra meditazione potremmo esser disattenti e dimenticare il significato. O magari non conoscevamo il significato sufficientemente bene. In altre parole, conoscevamo la categoria "non realmente esistente", ed è come se avessimo una scatola, ma ci avessimo messo dentro troppo di ciò che non ci appartiene veramente. Abbiamo la definizione, quindi sapevamo cosa significa la scatola, ma ci abbiamo messo dentro qualcosa che non le appartiene veramente. Questo è commettere un errore ed è diverso dal sapere che questa cosa non ci appartiene, inserendola per sbaglio perché non stiamo prestando attenzione. 

Tutte queste cose emergono durante la meditazione. Dobbiamo essere in grado di identificare ciò che stiamo sbagliando per poterlo correggere. Se non identifichiamo correttamente gli errori, come possiamo correggerli? È un ottimo punto di negazione, non è vero? Non riconosciamo correttamente ciò che stiamo facendo di sbagliato. Come possiamo correggerlo e non farlo? Come possiamo sapere "non quello", se non sappiamo con precisione, decisione e correttezza cosa stiamo facendo di sbagliato per poterlo sapere "non quello"? 

Ecco perché nei testi di meditazione si dà così tanta importanza all’ottusità mentale sottile, perché è molto, molto difficile da identificare, ed è molto facile pensare di avere una concentrazione perfettamente corretta, ma in realtà si ha ancora un’ottusità sottile. I testi sottolineano molto la necessità di saperla distinguere nella nostra meditazione altrimenti non potremo mai liberarcene. Inoltre, se conosciamo solo le parole "ottusità sottile" e che la meditazione perfetta non la possiede, non fa una grande differenza nella nostra meditazione. Questa è semplicemente un'affermazione: la meditazione perfetta non ha un’ottusità mentale sottile. Il suono delle parole "non ottusità sottile" nega semplicemente le parole "ottusità sottile", non l’ottusità sottile stessa. Non abbiamo escluso il significato delle parole.

Qualcuno ricorda cos'è l’ottusità sottile? 

Quando sei apatico e non te ne rendi conto. 

Sbagliato. Vedete? Lui ha una parola, ma le dà il significato sbagliato, e la elimina dalla sua meditazione. Ha eliminato l’ottusità sottile? Ha eliminato qualcos'altro che chiama così. Questo è un esempio perfetto. L’ "ottusità sottile" che ha rimosso non è quella di cui stiamo parlando. Sono due fenomeni diversi anche se le parole sono le stesse. 

L’ottusità sottile è la mancanza di freschezza; non siamo freschi in ogni momento. Essere freschi non significa essere stantii. È come l'intenzione. Ho stabilito l'intenzione all'inizio della lezione, ma non è più fresca. Deve essere fresca in ogni momento e non diventare stantia. Non è che dobbiamo seguire un ragionamento ogni volta, in ogni momento. Non ha nulla a che fare con il fatto che il nostro oggetto sia o meno a fuoco; quello è un livello di ottusità più grossolana. 

Un altro esempio è quando meditiamo sulla vacuità, sapendo all’inizio di cosa si tratta, avendola capita. Tuttavia, dopo essere rimasti concentrati per cinque minuti, la nostra comprensione non è più fresca ma debole e ottusa. Non è che l'abbiamo persa completamente, questa è una forma più grossolana di ottusità. Non è "viva" – un altro termine che si usa. Accade di continuo. Come sprofondare in trance. Quindi, parole e significati sono molto importanti, soprattutto se vogliamo escludere qualcosa dalla nostra meditazione per farla correttamente. 

Faccio un esempio di quello che hai appena detto. Hai appena detto, Mark: "È stata mezz'ora fa quando hai detto questo". Ora, non è stata certamente mezz'ora fa, ma hai applicato il concetto di "mezz'ora", e sai cos'è una mezz'ora e quanto dura. L'hai applicato in modo errato a un periodo di, diciamo, dieci minuti. Sai cos'è una mezz'ora. Voglio dire, lo facciamo sempre. 

Ma potrebbe trattarsi di una convenzione diversa. 

Sì. Potresti avere un'idea diversa di cosa sia una mezz'ora. 

È una convenzione sociale utilizzarla in questo modo. 

Esatto. È come dire che un dessert è "davvero cattivo" o "cattivo", quando nell'inglese colloquiale americano significa "buono". Ma se non capissi cosa intendi, magari sono tedesco e tu americano dicessi: "Wow, questo budino al cioccolato è davvero cattivo!". Mi sentirei molto offeso, mentre tu intendevi dire che era ottimo. 

Esclusione di una parola o dell'oggetto referente di una parola 

Ciò che abbiamo capito è che, indipendentemente dal fatto che questo fenomeno conoscibile "non Tenzin" si applichi o sia applicato correttamente, il "non Tenzin" che penso quando so chi è Tenzin e il "non Tenzin" che pensa il mio amico quando non sa chi è Tenzin sono diversi. Quindi, la domanda è: sono entrambi negazioni? Dipende da come intendiamo le definizioni. 

Ora arriviamo al significato della parola "esclusione". Il mio Tenzin si basa sull’esclusione di uno specifico oggetto referente della parola "Tenzin", di una persona specifica. Questo è il significato o l'oggetto referente della parola, ed è così che ho derivato "non Tenzin". Il mio è una negazione effettiva. Il concetto di "non Tenzin" del mio amico non si basa sull'effettiva esclusione di un oggetto referente della parola "Tenzin". Non sa chi è Tenzin, quindi non nega una persona. 

Consideriamo la definizione di un'affermazione: nessuna negazione effettiva di un oggetto da negare. Tuttavia, sta pensando: "non Tenzin". C'era una parola di negazione lì, quindi è ancora una negazione o no? Il suono della parola "non" nega il suono della parola "Tenzin". In realtà, la risposta è, secondo Jetsunpa, che il "non Tenzin" a cui sta pensando è solo un'affermazione delle due parole "non" e "Tenzin". Sta pensando due affermazioni, due parole. Una esclude verbalmente l'altra, ma questo è irrilevante. Il "non Tenzin" a cui sta pensando è un'affermazione di "non" e "Tenzin". Il "non Tenzin" a cui sto pensando io è una negazione di una persona, di un significato, di uno specifico oggetto di riferimento di Tenzin. Posso pensare "non vera esistenza" e non avere idea di cosa significhi. È un'affermazione delle parole "non" e "vera esistenza", e "vera" ed "esistenza". Non c'è altro. Questa non è propriamente una negazione. 

Ma se penso "non vera esistenza", non è come negare un fenomeno totalmente astratto? 

Ebbene, se pensiamo a qualcosa di astratto come "nessun modo impossibile di esistere", sebbene potremmo dire che "nessuna vera esistenza" rientra nella categoria più ampia di "nessun modo impossibile di esistere", tuttavia, se non abbiamo un'idea chiara del significato di "modi impossibili di esistere", allora pensare in questo modo astratto è troppo vago. Credo che dovrebbe ricadere nella categoria del pensiero di fenomeno di affermazione rispetto al significato preciso che vogliamo negare qui, ovvero "vera esistenza". Lo stesso vale per il pensiero astratto di "nessuna vera esistenza". Se non ne abbiamo un significato preciso, penso che dovrebbe comunque essere un fenomeno di affermazione. 

Le parole stesse sono fenomeni di affermazione. Persino le raccolte di parole, come ad esempio in una lunga definizione, sono solo affermazioni. La mente concettuale che conosce queste parole non deve negare nient'altro per poterle conoscere. Posso memorizzare le parole di una definizione, ad esempio, e conoscerle, ma non avere la minima idea di cosa significhino. Inoltre, le parole, di per sé, non hanno intrinsecamente un significato, che è qualcosa che viene etichettato mentalmente dalla mente concettuale che considera queste parole come oggetti attraverso cui conoscere il significato o un oggetto di riferimento di queste. È solo quando quella mente, usando queste parole per pensare concettualmente, nega effettivamente qualcosa per conoscerne il significato, che allora le parole diventano negazioni o, più precisamente, "fenomeni conosciuti in modo negativo". Ciò significa che parole o frasi che contengono una parola di negazione possono essere conosciute in modo positivo o negativo, a seconda che la mente comprenda o meno il significato della parola. 

Quindi, dobbiamo affrontare l'intera questione di comprenderla correttamente, e anche di etichettare mentalmente quella parola con il significato accurato, associandola a un oggetto appropriato a cui si applica. A volte alle stesse parole vengono attribuiti significati diversi. Hanno oggetti di riferimento diversi. Ad esempio, potrebbero esserci due persone diverse chiamate Tenzin. Questo non le rende la stessa persona, anche se hanno lo stesso nome, e potrebbero esserci due persone diverse che "non sono Tenzin". Anche questo non le rende la stessa persona. 

Allo stesso modo, possono esserci il termine "vera esistenza" e il termine "nessuna vera esistenza" e, a seconda della mente che li comprende e li usa, potrebbero riferirsi a due cose diverse. Ora, sto parlando di menti che effettivamente attribuiscono un significato preciso; non sto parlando di un significato vago. Se c'è solo un significato vago, allora non c'è risolutezza in quella mente, quindi non è un modo valido di conoscere. Quando pensa concettualmente con quelle parole, allora sta pensando a un fenomeno di affermazione e non a un fenomeno di negazione. Per essere più precisi, potrebbe essere un modo valido di pensare le parole "nessuna vera esistenza" come un fenomeno di affermazione. In altre parole, sta pensando quelle parole in modo accurato e deciso, ma certamente non è un modo valido di pensare concettualmente al significato di queste parole come un fenomeno di negazione. 

Questo è molto importante, soprattutto quando studiamo il Buddhismo e questi sistemi filosofici, e scopriamo che ogni sistema ha una definizione di "vera esistenza" piuttosto diversa. Usano tutti la stessa parola, lo stesso insieme di parole, e molti di loro affermano che certi fenomeni non hanno questa definizione, non sono veramente esistenti. Stanno parlando tutti della stessa cosa? È un grave errore cercare di capire la definizione prasanghika di "non vera esistenza" con la definizione cittamatra di "non vera esistenza" o viceversa. Sappiamo cosa significa "non vera esistenza" dal punto di vista prasanghika, e pensiamo che sia ciò di cui parlano i cittamatra. Non è così. Le parole sono le stesse. È interessante perché abbiamo queste espressioni. 

Lo troviamo sempre in Shantideva: in due strofe diverse le stesse parole "non veramente esistente", hanno significati completamente diversi, a seconda di come definiamo "non vera esistenza", e le parole delle strofe comunicano entrambi. Questa è l'eleganza della parola del Buddha: con le stesse parole possiamo trasmettere molti significati diversi che le persone comprendono in modo diverso; a diversi livelli del loro sviluppo, comprendono in modo diverso le stesse parole, questa è la parola del Buddha. Ecco perché questi testi radice sono così straordinari e si chiamano così - sono una radice da cui possono nascere diversi livelli di significato. 

Volevo solo fare un altro esempio: siamo anglofoni e ascoltiamo il tedesco (o i tedeschi ascoltano l'olandese), e sentiamo una parola che è anche una parola nella nostra lingua, e pensiamo che significhi la stessa cosa nella loro lingua, ma non è così. Anche questo è un ottimo esempio. Quello che dicono ha perfettamente senso, sia per il significato della parola che pensiamo abbia nella nostra lingua sia per il significato della parola che ha nella loro lingua, ma ciò che pensiamo significhi non è ciò che pensano loro, bensì è stato espresso con le stesse parole. Ad esempio, "aktuell" in tedesco significa "attuale" e "actual" in inglese significa "reale", la stessa parola. Leggiamo le "aktuell Nachrichten", le notizie di attualità, e pensiamo che siano le notizie "vere" e tutto il resto è banale. Ci sono molti esempi del genere. 

Ho un'idea di cosa sia la pace e il presidente Bush parla di pace. Può fare un intero discorso sulla pace e averne un'idea completamente diversa da quella che ho io. Potrei leggere il suo discorso e pensare: "Oh, meraviglioso. È tutto per la pace". Questa è una forma di propaganda. Pensano che tu intenda quello che vogliono che significhi, ma in realtà hanno un'idea completamente diversa. "Se accetti questo sistema di protezione sarai al sicuro!" 

Considerate un altro esempio, la dedica che facciamo alla fine di una sessione: "Qualunque comprensione abbiamo acquisito, possa andare sempre più in profondità, così da poterla realmente applicare. Possa aiutarci nella nostra meditazione a raggiungere l'illuminazione per il beneficio di tutti". Qualunque comprensione io abbia, potrebbe non essere la più precisa. La tua comprensione potrebbe non essere quella del tuo insegnante, e la sua comprensione potrebbe non essere quella del suo insegnante. Tutte potrebbero essere utili, però; ogni livello potrebbe essere utile. Di nuovo, non scartiamo completamente ciò che non è il significato più preciso, ma cerchiamo sempre di migliorarlo. È come cercare di descrivere la persona solo con gli aspetti negativi: che non ha i capelli castani, che non ha questo e che non ha quello. È corretto che non ha i capelli castani, ed è corretto che non è tibetana, ma potremmo essere più precisi. 

Quando visse Jetsunpa? 

Jetsunpa visse circa cento anni dopo Tsongkhapa, tra la fine del 1400 e l'inizio del 1500, circa due o tre generazioni dopo Tsongkhapa. Lui e Pancen furono i due principali autori dei testi monastici ghelugpa, così come Tendarua, che era un po' più giovane. Tuttavia, Pancen interpretò sostanzialmente quello che è considerato il modo più antico. Jetsunpa era contemporaneo e formulò opinioni piuttosto diverse. Tendarua, invece, era un po' più giovane ma dello stesso periodo. Prese qualcosa dall'uno, qualcosa dall'altro, e poi aggiunse qualcosa di suo. Kunkyen visse circa duecento o trecento anni dopo e prese una combinazione di alcuni di questi tre aggiungendovi altro. 

  • Tsongkhapa (Tsong-kha-pa Blo-bzang grags-pa) (1357-1419)
  • Jetsunpa Chokyi Gyaltsen (rJe-btsun-pa Chos-kyi rgyal-mtshan) (1469-1544)
  • Pancen Sonam Dragpa (Pan-chen bSod-nams grags-pa) (1478–1554)
  • Kedrub Tendarua (mKhas-grub dGe-’dun bstan-pa dar-rgyas) (1493–1568)
  • Il primo Kunkyen Jamyang Scepa Ngawang Tsondru (Kun-mkhyen ’Jam-dbyangs bzhad-pa Ngag-dbang brtson-’grus) (1648–1721).
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